Il tracollo di BritishVolt indica che l’indipendenza nelle batterie è un’utopia?
Doveva essere il più grande produttore indipendente di batterie per le auto elettriche in Europa, ma il progetto BritishVolt è fallito clamorosamente.
In questo articolo
L’autosufficienza in termini di batterie per auto elettriche è un sogno che rincorre da anni. L’Inghilterra – che dell’Unione Europea non fa più parte – ha provato a trasformare il sogno in realtà. Tutte le speranze erano riposte nella startup BritishVolt, lanciata inizialmente come la rivale britannica di Tesla.
Si diceva che, BritishVolt, in seguito alla costruzione della propria gigafactory, che sarebbe diventata la più grande del continente, sarebbe stata in grado di produrre, ogni anno, centinaia di migliaia di batterie agli ioni di litio. A sostegno dell’industria automotive nazionale ma senza precluder la vendita a produttori esterni.
Leggi anche: Batterie auto elettriche, tra futuro e assurde innovazioni
BRITISHVOLT: LA RAPIDA ASCESA…
BritishVolt nasce nel 2019 dall’idea degli imprenditori svedesi Orral Nadjari e Lars Carlstrom, entrambi privi di qualsivoglia esperienza nel campo dei veicoli elettrici. Non c’erano dettagliate strategie industriali, ma i grandi sogni abbondavano.
BritishVolt avrebbe dovuto creare 3mila nuovi posti di lavoro con la sua enorme gigafactory da costruire nella periferia di Blyth, la Motor Valley inglese. E altri 5mila lavoratori avrebbero trovato posto nella filiera. Una visione in grande che ben si sposava con i piani di “LevellingUp” dei Tory al governo. “Una forte testimonianza sulla presenza di lavoratori qualificati del nord-est e sul ruolo del Regno Unito come leader della rivoluzione industriale verde globale“, l’aveva definita l’allora primo ministro Boris Johnson.
Oltre ai complimenti, il governo britannico promise alla startup 100 milioni di sterline (circa 113 milioni di euro), spingendo diverse grandi aziende a fare altrettanto. A inizio della scorsa estate, BritishVolt aveva accumulato 2,5 miliardi di dollari in impegni di finanziamento e la sottoscrizione di un accordo con Lotus e Aston Martin per la fornitura di batterie da inserire nei loro EV.
Per saperne di più: Gigafactory, come funzionano e dove sono in Europa
…LA FULMINEA CADUTA
E arriviamo ad agosto 2022 quando, nove mesi prima dell’inaugurazione dei lavori per la gigafactory, Najdari e Carlstrom si dimettono, in seguito alla condanna per frode fiscale in Svezia del primo. A prenderne il posto, arriva l’ex dirigente Ford Graham Hoare.
Quel che Hoare si trova di fronte è un monte salari mensile di 3 milioni di sterline e la necessità incombente di almeno 200 milioni per riuscire ad arrivare all’estate successiva (quando sarebbero dovuti arrivare i primi ordini dalle case auto). Ma a quel punto, il Governo ritira i milioni promessi, a fronte dei mancati obietti che avrebbero già dovuto esser stati raggiunti dalla startup.
In seguito, mesi di buio, fino all’annuncio, il 17 gennaio 2023 della messa in amministrazione controllata della società. Ad EY-Parthenon, la società incaricata di supervisionare l’insolvenza e l’amministrazione, non resterà che vendere, per recuperare il denaro che spetta ai numerosi creditori.
Come si fa a distruggere l’azienda più promettente d’Inghilterra?
La principale causa del tracollo di BritishVolt sembra ritrovarsi nell’avventato comportamento dei fondatori, che per la maggior parte del tempo hanno agito come se la loro fosse una società già avviata e con costanti profitti. Ad esempio, per accogliere i dirigenti fu affittata una villa da 2,8 milioni di sterline.
I fondatori utilizzavano esclusivamente jet privati per far avanti e indietro tra una sede e l’altra; il personale riceveva pc da 35” del valore di circa 1.000 euro l’uno e lezioni di yoga private da un istruttore fitness arrivato direttamente da Dubai.
Leggi anche: Cosa c’è prima di una gigafactory (e perché rendere europea tutta la filiera)
E ADESSO TREMA ANCHE ITALVOLT
Se il nome Carlstrom non vi è suonato come una novità è perché l’ambizioso svedese è fondatore anche dell’italiana ItalVolt, azienda gemella della meteora britannica, che ha promesso di trasformare l’ex area Olivetti in Piemonte nella più grande gigafactory dello Stivale. I lavori, al momento, sono in stand-by e la colpa è stata data ai numerosi avvicendamenti al Governo.
Anche ItalVolt, così come la sorella inglese, più che fondamenta ha mostrato rendering. Le ambizioni sono elevate e di alto grado anche le collaborazioni ottenute: da quella con il Politecnico di Milano per lo sviluppo di un ciclo produttivo e di riciclo in ottica di economia circolare a quella con la startup israeliana StoreDot, che a ItalVolt dovrebbe fornire la propria tecnologia di ricarica ultrarapida.
Belle premesse, ancora pochi fatti. E si spera che gli azionisti non inizino a tirarsi indietro.
***
CONTINUA A LEGGERE SU FLEETMAGAZINE.COM
Per rimanere sempre aggiornato seguici sul canale Telegram ufficiale e Google News.
Iscriviti alla nostra Newsletter per non perderti le ultime novità di Fleet Magazine.