Chip Shortage: i gruppi automobilistici che hanno dovuto chiudere le loro fabbriche
Da Mercedes a Stellantis, da Toyota a Volvo: la Chip Shortage, sempre più grave, non risparmia nessuno, e sono molte le fabbriche la cui produzione viene fermata per una o due settimane a cicli, o quantomeno ridotta. Cerchiamo di saperne di più.
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Complice il Covid, la crisi dei semiconduttori si sta rivelando una vera e propria tragedia per il settore automobilistico, e non accenna a diminuire, con disagi per tutti, compreso il consumatore finale.
Il grande numero di chip richiesti da una vettura moderna elettrica (oltre 3.000) fa sì che la domanda resti ancora alta, e non accenni a scendere. E dal momento che la situazione sembra non sbloccarsi, si è passati dalla carenza di prodotto per i clienti, allo stop della produzione, con chiusura semi-totale di molte fabbriche della quasi totalità dei carmaker in tutto il globo.
Insieme alle batterie, insomma, la crisi dei semiconduttori sta mostrando i limiti e gli svantaggi della globalizzazione: anni in cui le aziende di ogni settore si sono spostate fuori dall’Europa per risparmiare sui costi di produzione hanno ora un “effetto boomerang”, che ha fatto capire a tutti, Unione Europea compresa, l’importanza di un “ritorno in patria” della produzione, compresa quella dei chip.
Per intenderci: nel Regno Unito a luglio la produzione ha segnato un nuovo record negativo, con la performance peggiore dell’industria automobilistica britannica dal 1956. A livello globale, invece, secondo AlixPartners la Chip Shortage causerà nel 2021 perdite di 60,6 miliardi di dollari all’intera industria.
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LE GRAVI CONSEGUENZE DELLA CHIP SHORTAGE
Sembra quasi un paradosso: ogni nuova auto presentata aumenta in numero di tecnologie digitali presenti, in un contesto dove però manca la materia prima per realizzarne un numero sufficiente.
Nel settore, i più ottimisti parlano di stabilizzazione della situazione nella seconda metà del 2022, ma c’è chi guarda invece al 2023, se non addirittura al 2024, come pensa Gunnar Herrmann, CEO di Ford Europe.
Quel che conta, però, è che i danni economici si stanno facendo sentire adesso, non solo perché i lunghi tempi d’attesa scoraggiano l’acquisto (anche se molti concessionari oggi comprano auto in stock piuttosto accessoriate, in modo da averne un po’ in pronta consegna), ma anche perché costringono le aziende a tagliare sulla produzione, riducendo di conseguenza anche il personale.
Cerchiamo di approfondire quali sono le case automobilistiche che hanno dovuto sospendere in modo parziale o totale la produzione.
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DAIMLER
Il gruppo Daimler noi lo conosciamo più come Mercedes, ma in realtà contiene al suo interno non pochi brand. Si parla infatti dei seguenti marchi automobilistici:
- Mercedes-Benz;
- Mercedes-AMG;
- Smart (oggi diviso insieme a Geely, proprietaria di Lotus e Volvo);
I produttori di camion:
- Mercedes-Benz;
- Freightliner;
- FUSO;
- Western Star Trucks;
- Thomas Built Buses;
- Detroit Diesel Corporation;
- Sterling Trucks;
E i marchi di bus:
- Mercedes-Benz;
- Setra;
- Orion;
- OMNIplus.
Un gruppo piuttosto importante, che sia in Nord America sia in Europa ha dovuto fare importanti tagli alla produzione.
Nello specifico, il colosso tedesco ha fermato le attività nelle fabbriche di Brema e Rastatt, in Germania, e di Kecskemet, in Ungheria; mentre al momento ha “solo” ridotto la produzione nello stabilimento di Sindelfingen, sempre in Germania.
Per capire l’importanza di questa decisione, basti considerare che lo stabilimento di Brema – dove si producono Classe C e GLC – conta 12.000 dipendenti; quello ungherese di Kecskemet (Classe B) ne conta 4.700, mentre 6.500 quello di Rastatt (Classe A).
A Sindelfingen, dove per ora la produzione non è stata fermata ma ridotta, lavorano invece 25.000 persone, che assemblano Classe E, Classe S ed EQS.
Secondo Ola Källenius, CEO di Daimler, “questo sembra essere il trimestre che sarà più significativamente influenzato dalla crisi dei microchip. Speriamo che, nel quarto trimestre, inizieremo a recuperare, ma c’è un livello di incertezza con cui dobbiamo fare i conti nel nostro sistema di produzione“.
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FORD
Nemmeno Ford è stata risparmiata dalla crisi dei semiconduttori. L‘Ovale Blu ha di recente aggiornato i suoi interventi a riguardo, che includono ulteriori tempi di chiusura negli stabilimenti in Illinois e Missouri, e anche la chiusura temporanea della fabbrica di Flat Rock Assembly, in Michigan.
Queste sono le fabbriche dove si producono il Ford Explorer (la nostra prova qui), la Ford Mustang, il Ford Transit Van e la Lincoln Aviator – Lincoln è il marchio di lusso del gruppo, venduto solo negli States.
La stessa società, nei mesi precedenti, aveva annullato i turni di lavoro straordinario anche nello stabilimento di Chicago, che produce i SUV, e in quello di Kansas City, che produce i furgoni, senza però aver mai fermato definitivamente la produzione. Ha poi dovuto tagliare la produzione anche nello stabilimento in Ohio, impegnato invece nella realizzazione di camion e cabinati.
Secondo Herrmann, CEO di Ford Europe, la carenza è stata esasperata dal passaggio dei veicoli elettrici, che contengono un numero di chip 10 volte superiore a quello di una vettura termica: se una Ford Focus usa circa 300 semiconduttori, uno dei nuovi veicoli elettrici, come la Mustang Mach-E, può arrivare a 3.000.
Inoltre, Ford parla di una carenza non solo di chip, ma anche di altre materie prime, come il litio, la plastica e l’acciaio. “I prezzi delle auto aumenteranno con l’incrementare del costo delle materie prime” afferma Herrmann, che però ha anche aggiunto che nonostante le difficoltà gli ordini di Ford Europe sono in crescita, con una domanda forte.
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GENERAL MOTORS
Conosciamo poco General Motors alle nostre latitudini, ma è stato a lungo il gruppo proprietario del marchio Opel (e di conseguenza Vauxhall), poi passato a PSA e ora a Stellantis, dopo la fusione. Ma General Motors è proprietario anche di:
- Buick;
- Cadillac, che produce la XT4 (qui la prova);
- Chevrolet;
- GM Korea;
- GMC (camion);
E in passato anche di Hummer, Pontiac, e di quote di Suzuki, Subaru e Isuzu. In seguito alla profonda crisi che ha colpito il colosso nel primo decennio degli anni Duemila, i capitali sono stati concentrati nei cinque marchi oggi presenti, con la CEO Mary Barra che ha lavorato bene per evitare la bancarotta e rilanciare la reputazione dell’azienda, con i marchi che oggi sono tornati a produrre auto affidabili e interessanti.
Ma ora, Barra è alle prese con la crisi dei semiconduttori, e General Motors ha previsto che la Chip Shortage ridurrà il suo utile operativo da 2 a 1,5 miliardi nel 2021. Ad Aprile sono stati chiusi gli stabilimenti di Spring Hill, nel Tennessee, dove vengono costruiti GMC Arcadia e le Cadillac XT5 e XT6; e di Lansing, nel Michigan.
Nello stesso periodo, GM ha chiuso uno stabilimento in Messico, dedicato alla produzione della Chevrolet Blazer. GM ha dovuto poi chiudere gli stabilimenti in Kansas e in Canada.
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STELLANTIS
Anche Stellantis è stata costretta a fermare la produzione, nello specifico in Francia. Il colosso italo-francese ha infatti sospeso le attività degli stabilimenti di Rennes la Janais e Sochaux dal 23 al 27 agosto 2021, non solo per la mancanza dei chip.
Il sindacalista Laurent Valy della Cfdt, segretario del Comitato sociale ed economico della fabbrica di Rennes, ha infatti spiegato che un produttore di semiconduttori in Malesia è stato colpito da un focolaio di coronavirus, mentre il fornitore polacco di BSI (Centraline intelligenti per motori) non riusciva più a consegnare i pezzi.
Gli stesi problemi hanno riguardato le fabbriche di Mulhouse, in Francia, e di Eisenach in Germania.
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TOYOTA
Nemmeno il colosso nipponico è stato risparmiato. A settembre ha infatti tagliato la produzione del 40%, segnale della gravità della Chip Shortage, ma anche a causa delle restrizioni legate alla diffusione del virus nelle fabbriche nel Sudest asiatico.
Per questo, Toyota ha dovuto ridurre le stime di produzione: se a luglio erano 900 mila unità, ora sono state ridotte a 500 mila, quasi la metà. I tagli di settembre hanno coinvolto 15 stabilimenti, sia in Giappone che all’estero, con un calo di circa 360 mila veicoli.
Questo si aggiunge alla chiusura degli stabilimenti in Vietnam tra luglio e agosto, in Cina (Guangzho), e in Thailandia.
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VOLKSWAGEN
Il primo produttore di automobili europeo, e il secondo al mondo, ha dovuto tagliare la produzione per tutti i suoi marchi, da Seat e Skoda, a Porsche, passando per la stessa Volkswagen.
Il colosso di Wolfsburg ha perso quote di mercato in Cina. Come affermato dal CEO Herbert Diess: “Siamo relativamente deboli a causa della carenza di semiconduttori. Siamo più colpiti in Cina che nel resto del mondo, ecco perché stiamo perdendo quote di mercato“.
Anche l’azienda tedesca ha risentito del focolaio in Malesia, sede di molti fornitori del gruppo. Per questo, Volkswagen ha interrotto la produzione della versione più economica della ID.3, proprio a causa della crisi dei chip.
Wayne Griffiths, CEO di Seat, ha dichiarato alla CNBC: “Stiamo dando la priorità ai nostri modelli Cupra e alle auto elettriche, e dobbiamo assicurarci che i tempi di consegna rimandano accettabili“.
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VOLVO
L’appartenenza al gruppo cinese Geely non ha risparmiato gli svedesi, anche se hanno sentito la crisi più tardi rispetto al resto d’Europa.
La casa svedese ha dovuto fermare la produzione nello stabilimento di Torslanda, nella periferia di Göteborg, per alcuni giorni tra fine agosto e inizio settembre. Si è trattato del secondo stop alla produzione, che ha interessato lo stesso stabilimento qualche settimana prima.
Volvo ad agosto ha registrato l’utile operativo più alto di tutta la sua storia (94 anni), ma gli stessi vertici dell’azienda scandinava a luglio avevano avvertito che la continua carenza dei conduttori avrebbe impattato negativamente sui suoi risultato nella seconda metà dell’anno.
Per questo, la società ha detto che i tagli di produzione saranno inevitabili, con conseguenze negative anche sulle vendite.
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