Produrre combustibili da rifiuti, il potenziale sprecato dell’Italia
Il combustibile da rifiuti, o combustibile solido secondario, permetterebbe di risparmiare e tagliare le emissioni di CO2, ma in Italia non viene ancora sfruttato. Addirittura si esporta il 70% del prodotto, così i nostri rifiuti non riciclabili vanno persi.
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Una risorsa sprecata che l’Italia non ha ancora imparato a sfruttare: quello dei combustibili prodotti da rifiuti non più ricilabili. L’art. 4 bis del Dl Aiuti Quater ha previsto una semplificazione per le aziende per passare dal gas al combustibile solido secondario (Css). Una misura che si inserisce nel più ampio progetto italiano di economia circolare varato nel giugno 2021.
Un vettore energetico, quello del Css, che oltre a favorire la tutela dell’ambiente potrebbe contribuire alla diminuzione dei rifiuti trattati in discarica (uno degli obiettivi tra l’altro imposti dalla Ue nell’ottica Zero Emission per il 20235) e che consentirebbe di risparmiare sia in termini di emissioni (ogni tonnellata di Css utilizzata taglia 1,35 tonnellate di CO2), sia in termini economici.
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L’ITALIA SPRECA I CSS, I COMBUSTIBILI DA RIFIUTI
Il combustibile solido alternativo, infatti, costa sedici volte meno del fossile, ed è un’alternativa valida a carbone, lignite e pet coke (che i produttori di cemento, una tra le industrie più energivore, oggi sono costretti ad importare dall’estero, sostenendo rincari elevati), ma anche petrolio o gas naturale, dato che si tratta di materiale organico con al suo interno elementi ossidabili come carbonio e idrogeno.
Già nel 2020, si calcolava che per la produzione di clinker si potrebbero risparmiare 700 milioni di euro di risparmi e 10 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno sfruttando il porenziale del Css.
Non solo: il Css è una fonte rinnovabile e (purtroppo o per fortuna) infinita, dal momento che esisteranno sempre rifiuti non differenziabili e non riciclabili. Secondo Federbeton, nel 2021, il tasso di sostituzione in Italia è stato solo del 22% (321.629 tonnellate di Css): troppo poco, dato che la media europea è del 52,2%.
In Italia il Css ha una potenzialità di 1 milione di tonnellate, già ampiamente e sprecate, dal momento che i produttori ne esportano il 70% (verso Germania, Svizzera, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria) rendo il passaggio ancora poco competitivo.
COME FUNZIONA UN TERMOVALORIZZATORE
I rifiuti non riciclabili e non pericolosi possono essere utilizzati per il recupero di energia grazie agli impianti di incenerimento, anche detti termovalorizzatori. Ma come funziona questo processo?
In un impianto MBT (trattamento meccanico-biologico) si separano dagli RSU i metalli che possono essere riciclati e gli inerti, ad esempio il vetro, e le componenti organiche, che possono essere inviate gli impianti di compostaggio. Questo processo permettere di scegliere le frazioni con un potere calorifico più elevato.
Le alternative al MBT, sono la biostabilizzazione e la bioessiccazione del materiale. Anche in questo caso, il rifiuto viene privato di metalli e inerti, ma la frazione organica viene stabilizzata e perde parte della sua umidità. Il prodotto finale ha quindi un potere calorifico più elevato, adatta alla combustione e composta da carta e cartone, legno, plastica e tessili che possono essere bruciati direttamente.
Per essere utilizzato come CSS la frazione finale deve avere determinate caratteristiche, ovvero potere calorifico inferiore di almeno 15 MJ e un’umidità del 25%.
La combustione di questi materiali produce ovviamente ceneri ed emissioni gassose, che richiedono opportuni trattamenti per ridurre il loro carico inquinante e poter essere rilasciate nell’ambiente in sicurezza, senza rischi per la salute. Mentre il calore può essere recuperato e utilizzato per produrre vapore che aziona una turbina, la quale, accoppiata a un alternatore e un motoriduttore, converte l’energia termica in energia elettrica.
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