Come funziona la carbon tax europea sulle importazioni

La carbon tax europea permette alle imprese di competere con quelle che hanno sede in Paesi con politiche meno rigide sulle emissioni di CO2 grazie ad una "compensazione" per chi importa dall'estero.
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Prima delle festività natalizie l’Unione Europea ha preso un accordo storico sulle emissioni: in poche parole chi inquina dovrà pagare, ma non solo. Partiamo dalla carbon tax, che l’intesa rinomina Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) e che è, in sostanza, un sistema che costringerà le aziende esterne che operano in settori particolarmente inquinanti a pagare per le emissioni prodotte dai prodotti importati di alcuni settori.
Tra le altre novità più importanti ci sono i trasporti via mare, per la prima volta considerati e quindi multati, se necessario, per le proprie emissioni ed il Fondo sociale per il clima con oltre 86 miliardi di euro, di cui l’Ue e gli Stati disporranno per tutelare i cittadini dagli aumenti del costo dell’energia.
LA CARBON TAX EUROPEA SULLE IMPORTAZIONI
L’idea della CBAM, la carbon tax appunto, permetterebbe alle imprese europee di competere con quelle che hanno sede, o solo producono, in Paesi le cui politiche climatiche sono più blande, evitando così delocalizzazione e perdita di posti di lavoro entro i confini comunitari.
Il meccanismo di compensazione si baserà su certificati per pagare le proprie emissioni, che le aziende importatrici dovranno acquistare, allo stesso prezzo previsto nell’Unione. Questi certificati hanno un prezzo medio variabile, ma il costo è sempre stabilito su ogni tonnellata di CO2 emessa.
L’accordo raggiunto il 19 dicembre 2022 entrerà gradualmente in vigore tra il 2026 e il 2034.
GLI ACCORDI SULLE EMISSIONI IN UE
Come dicevamo, i paesi membri dell’Unione hanno preso decisioni importantissime anche su altre questioni legate ai paletti imposti dal Fit for 55.
Leggi Anche: L’Ue vuole diventare il primo continente a zero emissioni.
IL SISTEMA ETS
Innanzitutto, è stato esteso il raggio di azione del Sistema di scambio delle emissioni, detto anche ETS, aconimo di Emissions Trading System. Questo sistema, già in uso all’interno della Ue, prevede un tetto massimo di emissioni consentite in determinati settori produttivi, come centrali elettriche e industrie (parliamo di circa 11mila attori coinvolti).
ETS, che prevede anche una compensazione garzie alla quale un’industria che inquini di più possa comprare delle “quote” di emissioni da quelle che inquinano di meno. Questo limite comunque, che già si stava riducendo di anno in anno, è stato bruscamente tagliato negli ultimi accordi.
Le emissioni, per i settori interessati ai quali verrà aggiunto anche il settore marittimo, dovranno essere ridotte del 62% entro il 2030 (dal 2005 al 2022 sono state ridotte del 41 per cento).
IL FONDO SOCIALE PER IL CLIMA
Infine, gli Stati membri hanno concordato l’istituzione di un Fondo sociale per il clima che dovrebbe alleggerire la pressione delle imposte sull’inquinamento su imprese e utenti più poveri. Anche in questo caso la scadenza è fissata tra il 2026 e il 2032 e sarà finanziato con 65 miliardi di euro.
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