I trasporti sono in crisi, e la colpa non è solo dei chip
Il cosiddetto chip shortage sta causando non pochi problemi all’industria dell’auto, e non solo. Eppure, i semiconduttori non sono gli unici colpevoli della crisi dei trasporti.
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«All’improvviso, nell’economia mondiale c’è carenza di tutto» ha scritto Bloomberg. L’economia, in realtà, sta dimostrando una forte capacità di ripresa o, come va di moda dire oggi, una qual certa resilienza. Il che è, senz’altro, un dato positivo. D’altro canto, però, la repentina crescita di domanda post-lockdown sta mettendo a dura prova il sistema di trasporti globale.
È un po’ come successe con il lievito a marzo dello scorso anno. Lo abbiamo acquistato in quantità decisamente maggiori a quelle necessarie, spinti dalla paura di restare senza. Analogamente, le imprese produttrici hanno iniziato a comprare più materiale di quanto gliene serva, intimoriti al pensiero di restarne privi – vuoi per ulteriori restrizioni, vuoi per la scarsità delle materie prime.
A questo va poi aggiunto l’effetto dei calamitosi eventi degli ultimi mesi, come l’incidente nel Canale di Suez, la gelata negli Stati Uniti Centrali, l’incendio nelle fabbriche cinesi e la siccità in Brasile. Tutti fattori che hanno portato a uno stato di saturazione il sistema di trasporto mondiale.
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LA CRISI DEI TRASPORTI MONDIALI
Per produrre di più bisogna costruire nuovi stabilimenti e formare nuovo personale, operazioni che richiedono tempo e denaro. Allo stesso modo, per spostare più merci servono più magazzini e un maggior numero di mezzi di trasporto. Di container, però, oggi ce ne sono quanti ce ne sono, e non sono abbastanza. Il loro affitto aumenta a dismisura e, di conseguenza, anche il prezzo del prodotto finito sale.
E anche una volta aver trovato un magazzino dove depositarla, la merce a un certo punto andrà spostata, operazione svolta per lo più dalle navi. Anche di quelle, però, esiste un numero limitato. Se ne potrebbero, e si farà senza dubbio, costruirne di nuove, ma l’operazione richiede almeno due o tre anni di tempo. E seppure le navi ci fossero, bisognerebbe acquistare il carburante necessario a muoverle, il cui prezzo, anch’esso, aumenta di giorno in giorno.
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La crisi dei porti
E poi c’è la questione dei porti, ad oggi incapaci di gestire le moderne navi cargo, quelle su cui viaggia oltre l’80% del volume delle merci a livello globale. I porti sono strutture antiche, mentre il trasporto intermodale – che ne è il principale visitatore – è nato appena settant’anni fa. Le navi trasportano i container (standardizzati e uguali in tutto il mondo), una volta arrivata la nave al porto, i container vengono caricati su camion o treni, mezzi su cui concludono il proprio viaggio. Di conseguenza, se la nave è in ritardo, l’intera catena è rallentata.
E le navi sono in ritardo di parecchio, ferme in rada in attesa di poter entrare al porto. L’11 agosto, ha scritto il Financial Times, erano ben 353 i portacontainer stazionati al largo, quasi il 7% del numero totale di navi cargo al mondo. Da quel giorno, la situazione è peggiorata, anche a causa della chiusura (causa contagio Covid) di uno dei terminal del porto cinese Ningbo-Zhoushan, il terzo più trafficato al mondo. Per gestire questi ritardi, le navi possono decidere di saltare alcuni scali presenti sulla loro rotta, il che ritarda maggiormente la consegna delle merci.
La soluzione? Al momento anche quella, così come le navi e i container, semplicemente non c’è.
https://youtu.be/_-3cMZRcDyI
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