L’auto elettrica è un bene per l’economia italiana?
Tra gigafactory e rilancio delle miniere per l'estrazione di cobalto, nichel e rame, l'economia italiana potrebbe davvero beneficiare dell'auto elettrica. Ma queste sono, almeno per ora, solo supposizioni non prive di scetticismo.
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Il passaggio definitivo alla mobilità elettrica porterà inevitabili cambiamenti a tutte le economie di mercato, e in particolar modo a quelle nazioni che sono grandi produttrici di automobili, come Germania, Francia e Italia.
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Tuttavia, con l’Europa che mira non solo a bandire la vendita e, quindi, la produzione di auto termiche dopo il 2035, ma anche all’autosufficienza per quanto riguarda la produzione non solo dei veicoli, ma anche degli accumulatori. Ecco perché, in maniera opposta a chi teme per industria e lavoratori, c’è chi vede l’auto elettrica come una grande opportunità.
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L’ITALIA E LE GIGAFACTORY
Un primo, grande punto di svolta è rappresentato dalle cosiddette Gigafactory, ovvero le immense fabbriche destinate alla produzione degli accumulatori.
Se è vero che, al momento, pochi impianti produttivi italiani sono stati aggiornati con il necessario per la produzione dei mezzi elettrici ed elettrificati, è anche vero che sono già in fase di progettazione e realizzazione due gigafactory, di cui una sarà la più grande in Europa e la dodicesima al mondo.
Mi riferisco a ItalVolt, di cui abbiamo ampiamente trattato in un articolo dedicato, e che rappresenta il nuovo ed enorme investimento (si prevede che sarà di 4 miliardi) dello svedese Lars Carlstrom, già creatore, nel Regno Unito, di “BritishVolt”.
Con la fine dei lavori prevista nel 2024, ItalVolt darà lavoro a 10.000 persone, con tutti i tipi di specializzazione del caso. Già solo la sua costruzione è importante, visto che si tratta di un progetto interamente Made in Italy.
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LA GIGAFACTORY DI STELLANTIS
Oltre a ItalVolt – in cui Stellantis già opera, dato che si occuperà tramite la società Comau di fornire soluzioni innovative, impianti e tecnologie – l’altra grande gigafactory italiana sarà realizzata dal colosso euroamericano, che ne realizzerà 5 nel mondo, di cui una a Termoli.
Più piccola rispetto al progetto di Carlstrom, e non priva di polemiche (c’è chi sperava che la scelta ricadesse su Mirafiori), darà lavoro ad altre duemila persone che, quindi, nonostante i progetti di conversione delle fabbriche, e di elettrificazione non vedranno perso il loro posto.
Entrambe le gigafactory, ad ogni modo, rappresentano prima di tutto un investimento in Italia, e un modo per mantenere attiva e ad alti livelli l’industria automobilistica del Bel Paese, da sempre fondamentale per la società italiana ed europea.
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L’AUTO ELETTRICA E LE MINIERE PIEMONTESI
Oltre alle gigafactory, una grande opportunità è data proprio da ciò che serve per realizzare una batteria, ovvero minerali quali cobalto, rame, argento e nichel che potrebbero rilanciare, in particolare, il Piemonte.
Storicamente, infatti, questi sono estratti nella regione sabauda, e di recente Alta Zinc Ltd, società australiana specializzata nell’estrazione dei minerali, sembrerebbe aver ottenuto il rinnovo dei permessi di ricerca nella zona, che ridarebbe slancio ai lavoratori e all’intera Regione.
Per la produzione degli accumulatori, quindi, entra in gioco anche il Piemonte nello specifico la zona tra Usseglio e Balme, entrambi nella Città Metropolitana di Torino. Alta Zinc, infatti, ha chiesto il rinnovo proprio dopo aver scoperto nuove mineralizzazione in quell’area.
Non è una zona casuale. Come spiegato da Marcello de Angelis, geologo e manager del team, a Usseglio nel 1750 era presente la più grande miniera di cobalto in Europa, che veniva esportata principalmente in Germania e utilizzata come pigmento.
La miniera fu, in seguito, chiusa e mai riaperta. Per questi motivi, Alta Zinc ha avuto l’idea di rilanciare le miniere. “Nichel e cobalto” – continua de Angelis – “Sono le materie basilari per la produzione di migliori batterie, soprattutto alla luce della transizione che vedrà una riduzione dei veicoli a combustione interna e una crescita di quelli elettrici. Un altro elemento favorevole è poi l’annuncio di Italvolt per l’apertura di un centro per la produzione di batterie a Torino“.
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COME SI GIOCA LA SFIDA
Il rinnovo è stato richiesto per altri quattro anni. Ottenute le autorizzazioni, il team potrà partire coi sondaggi e, a progetto concluso, si avrà “una miniera senza precedenti” dichiara de Angelis, aggiungendo che solo in Marocco esiste qualcosa di simile.
Anche questo, naturalmente, è positivo già dall’inizio per l’Italia, dato che si tratta, solo nella prima fase, di un investimento di circa due milioni e mezzo di euro.
L’importanza di rilanciare le miniere piemontesi non è solo italiana, ma europea, ovvero rientra nel contesto di ridurre la dipendenza del Vecchio Continente dalle importazioni dall’estero.
De Angelis cita la direttiva UE che spinge a cercare fonti dei metalli, indicando 32 elementi tra cui, appunto, il Cobalto, che attualmente per il 70% viene importato dal Congo, con non poche criticità sia sociali che ambientali.
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NON SOLO IL PIEMONTE
Ma non c’è solo il Piemonte. L’idea che si vuole portare avanti, per quanto riguarda l’estrazione delle risorse, è quella di rivedere e rilanciare dei vecchi siti minerari dismessi, con nuove tecnologie.
Ecco perché in Italia, lo stesso team e affini stanno presentando delle richieste per fare ricerche in Liguria: a Libiola (nord est di Sestri Levante) era attiva una miniera fino al 1960, dalla quale si estraeva una quantità di rame tale da coprire il 20% del fabbisogno nazionale. Anche l’Emilia Romagna, già terra dei motori orientata al cambiamento, è tenuta d’occhio sotto uesto aspetto.
In tutti questi casi, si tiene conto di non ripetere gli errori del passato. Geraint Harris, managing director di Alta Zinc, ha sottolineato come la chiusura delle miniere fu dovuta al prezzo troppo alto delle materie prime, e dalla presenza di altre risorse più economiche, se comprate all’estero.
Inoltre, in molti casi non c’è stato il beneficio dell’esplorazione moderna: oggi, infatti, grande supporto al settore deriverebbe proprio dalla tecnologia all’avanguardia.
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“Con le moderne tecniche” – aggiunge Harris – “Possiamo ricercare i potenziali minerali rimasti e creare un approvvigionamento interno di queste materie prime indispensabili per decarbonizzare e ricostruire l’economia post covid“.
Non solo. Le nuove tecnologie sono determinanti per ridurre l’impatto ambientale e mettere in atto interventi di risanamento. Nell’ottica della società, le nuove miniere europee saranno base per una spinta nel lungo periodo delle economie locali, dato che l’effetto moltiplicatore dell’economia più ampia è 10 volte tanto l’importo speso direttamente dal progetto minerario.
Rispetto alle miniere del resto del mondo, quelle italiane saranno sottoposte a uno stretto controllo ambientale, con garanzia di una totale tracciabilità del prodotto, nonché di un ambiente di lavoro salutare e sicuro, come tutti i moderni impianti industriali.
Al pari di Italvolt, l’avvio della produzione è previsto per il 2024. Quanto detto, quindi, per ora rappresenta un’ipotesi non priva di un certo scetticismo da diverse parti. Vedremo se davvero l’auto elettrica e tutto il grande mondo che la riguarda rappresenteranno una vera opportunità per il rilancio economico del Paese.
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