Federauto: “70 mila posti di lavoro a rischio nelle concessionarie italiane”
Federauto lancia l'allarme. Le Case auto entrano mercato B2C, si rivolgono al cliente con la vendita online e il modello di agenzia, e mettono a rischio i lavoratori nella vendita al dettaglio.
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Federauto lancia l’allarme per i lavoratori delle concessionarie. Le parole del presidente Adolfo De Stefani Cosentino sono chiare, il rischio è reale. L’ingresso diretto dei costruttori sul mercato della distribuzione avrà infatti ripercussioni pesanti sulla forza lavoro, si parla di 70 mila posti a rischio.
“La maggioranza delle case automobilistiche intende entrare nel mercato B2C, rivolgendosi al cliente finale attraverso la vendita online o eliminando la concorrenza intrabrand con i contratti di agenzia. In questo modo le Case metteranno fuori gioco i distributori, quindi i concessionari, per poi acquisire il controllo della domanda.
Ciò comporterà un incremento dei prezzi, con una conseguente spinta inflattiva e una riduzione del livello di servizio, il tutto a danno del consumatore“, spiega il presidente De Stefani Cosentino.
La contrazione delle reti distributive “comporterà la perdita di 60-70.000 posti di lavoro e impatterà profondamente sull’attuale contributo dell’auto al bilancio economico del Paese”. In termini di Pil si parla del 3%, con un gettito fiscale del 5%.
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SERVONO INCENTIVI PER LE CONCESSIONARIE
Federauto lancia una richiesta d’aiuto al governo. Serve “un impianto normativo finalizzato a riequilibrare la posizione dominante delle case automobilistiche nei confronti del sistema distributivo, affinché sia favorita la massima competizione possibile a vantaggio del consumatore“.
In particolare, l’associazione parla di incentivi. Tenendo conto del parco circolante particolarmente vecchio (si parla di un’età media di quasi 12 anni, bisognerà prendere in considerazione delle agevolazioni in grado di sostenerne il rinnovo.
Accompagnare la transizione verso la mobilità elettrica è un altro tema di rilevante importanza. “C’è un parco di 38,8 milioni di auto costituito per il 52,5% da ante euro 5 (20,4 milioni)”, ha sottolineato De Stefani Cosentino.
“Per sostituire il circolante inquinante, anche se il mercato tornasse a livelli normali di 1,7 milioni di auto vendute all’anno, occorrerebbero decenni.
Una fantasia che si scontra con la realtà del costo delle auto, il cui prezzo negli ultimi 10 anni è salito del 6% sopra il potere d’acquisto dei consumatori“.
Gli incentivi servono, perché le elettriche “costano dal 25 al 30% in più delle tradizionali”.
PROMUOVERE LE INFRASTRUTTURE DI RICARICA
Per passare alla mobilità elettrica non si può fare a meno delle infrastrutture.
L’Italia però è in serio ritardo, come ha mostrato anche la nostra inchiesta qui su Fleet Magazine. Il presidente dei concessionari italiani ha sottolineato “la necessità di un piano infrastrutturale in linea con la necessaria copertura territoriale e con una potenzialità richiesta dagli obiettivi di incremento del parco circolante elettrico e ibrido“.
“Senza centraline di ricarica – aggiunge De Stefani Cosentino – pensare che si possa diffondere la tecnologia dell’autovettura elettrica o elettrificata è molto difficile”.
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I CARBURANTI ALTERNATIVI
I carburanti alternativi potrebbero essere un’altra via verso la decarbonizzazione, ma serve, anche in questo caso, una pianificazione.
“Non si può accantonare di colpo l‘endotermico come se fosse l’origine di tutti i mali”, chiarisce De Stefani Cosentino. “Non è detto che l’auto elettrica sia così ecologica: forse l’emissione è zero, ma l’impatto non è detto che sia zero, perché se l’energia elettrica la produciamo con dei fossili, allora siamo punto e a capo”.
L’Italia poi è l’unico Paese in cui sull’auto professionale non si può detrarre l’Iva al 100 per cento. La fiscalità deve mettersi in pari col progresso.
“Tutto questo deprime ulteriormente il mercato, mentre abbiamo bisogno di un mercato di sostituzione”, ha ricordato De Stefani Cosentino.
https://www.youtube.com/watch?v=WtTU38Pkmlc
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