Nuova normativa sul fringe benefit: cosa pensano i Fleet Manager? La nostra inchiesta
Nel 2020, oltre al Covid, le aziende hanno dovuto affrontare anche le conseguenze del cambiamento della normativa sul fringe benefit. Una situazione che, come testimonia la nostra instant survey su un campione di 47 Fleet e Mobility Manager, sta creando disagi e portando molte aziende alla scelta di rinunciare ai veicoli già in flotta.
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La vicenda, ormai, è nota. Ma le conseguenze, in questi mesi segnati dal Covid, sono passate troppo sotto silenzio. Da luglio 2020, la normativa sul fringe benefit è cambiata (scopri qui tutti i dettagli). Se in precedenza la percentuale di imponibile era identica per tutte le vetture – 30% -, adesso si differenzia in base alle emissioni.
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Per le auto comprese nella fascia da 161 a 190 g/km è aumentata al 40%, mentre per le auto che superano i 190 g/km si attesta al 50%. Al contrario, secondo il principio ‘più inquino, più pago e viceversa’, per le vetture con emissioni inferiori a 60 g/km c’è un’agevolazione al 25%. E nel 2021 la situazione cambierà ancora, con un ulteriore inasprimento per le fasce più inquinanti e l’entrata in vigore definitiva del WLTP, che prenderà il posto del “NEDC correlato” dopo un periodo di coabitazione di entrambi di parametri, determinando di fatto un innalzamento dei valori delle emissioni per gran parte dei veicoli.
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LA NOSTRA SURVEY SUL FRINGE BENEFIT
La novità sul fringe benefit, pur applicandosi soltanto alle vetture di nuova immatricolazione e assegnazione, sottende un aggravio fiscale non da poco per i dipendenti e annessi disagi per le aziende e i loro Fleet e Mobility Manager, chiamati a trovare una soluzione per il nuovo calcolo. Tre sono le possibilità: addebitare la nuova aliquota al dipendente in busta paga, farsene carico direttamente, oppure modificare la car policy, rinunciando ai modelli penalizzati dalla nuova tassazione.
Come si stanno organizzando i responsabili dei parchi auto di fronte a questo cambiamento rilevante? Per scoprirlo e approfondire il tema nel mese di novembre abbiamo condotto una instant survey, in collaborazione con l’Osservatorio Top Thousand e con Aniasa, su un campione di 47 Fleet e Mobility Manager di aziende di diverse dimensioni, con un parco totale gestito di 70.076 veicoli. Ecco cosa è emerso.
LA FOTOGRAFIA DELLE FLOTTE: ECCO COME È CAMBIATA LA MOBILITÀ IN AZIENDA
Innanzitutto abbiamo cercato di fotografare lo stato dell’arte della flotta del campione rilevato, per avere un’idea di quanti veicoli sono soggetti alla tassazione del fringe benefit e delle loro emissioni. Sul primo punto, la fetta delle auto in uso promiscuo è piuttosto considerevole. Parliamo di oltre un terzo delle oltre 70mila vetture considerate, precisamente 26.125.
Sul secondo punto, invece, abbiamo rilevato come le auto con emissioni superiori a 160 g/km siano in progressiva diminuzione nelle flotte, che tendono a rinnovare i propri parchi con veicoli meno impattanti dal punto di vista ambientale, ma comunque costituiscano un numero ancora rilevante. Parliamo di 2.408 veicoli con emissioni comprese tra 161 e 190 g/km e 795 veicoli con emissioni superiori a 190 g/km.
Uno stato dell’arte che evidenzia a chiare lettere l’orientamento green dei Fleet e Mobility Manager, testimoniato anche e soprattutto dal numero totale delle auto con emissioni inferiori a 60 g/km – essenzialmente le elettriche e le ibride plug-in – che sono 1.729, oltre il doppio rispetto a quelle più inquinanti. I restanti veicoli, ovvero la stragrande maggioranza, appartengono alla fascia di emissioni compresa tra 61 e 160 g/km, ovvero quelle categorie che continuano ad essere soggette alla vecchia normativa sul fringe benefit.
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COME GESTIRE L’AUMENTO DELLE ALIQUOTE
Nonostante il percorso verso il green sia ben avviato, la maggior parte dei Fleet Manager intervistati ha riferito di essere stato colto alla sprovvista dalla nuova normativa del fringe benefit. Alla domanda ‘Come intendete comportarvi con i veicoli soggetti ad una maggiore tassazione (emissioni maggiori di 160 g/km)?’, hanno assunto due posizioni piuttosto nette. Il 50% dichiara di voler attribuire il costo maggiorato al dipendente, mentre il 47,4% afferma l’intenzione di rinunciare al modello assegnato, andando di fatto a modificare la car list. La soluzione meno gettonata, indicata solo dal 2,6%, è quella di aumentare lo stipendio del dipendente, ovvero far sì che sia l’azienda ad accollarsi il costo maggiore.
Il timore è duplice. Da una parte quasi tutti i Fleet Manager non intendono sostenere il peso di un ulteriore costo, specie in questo periodo, dall’altra parte una fetta consistente tra loro non vuole andare ad intaccare il welfare aziendale. Un dato di fatto testimoniato dalla risposta successiva: addirittura, il 23,7% degli intervistati ci ha riferito di preferire pagare la penale e restituire il veicolo anticipatamente alla società di noleggio piuttosto che gestire internamente l’incremento della tassazione.
IL VUOTO NORMATIVO
Gli evidenti disagi nascono dalla legge, entrata in vigore dal primo luglio scorso, che non riguarda tutti i veicoli, ma quelli di “nuova immatricolazione” e contrattualizzati a decorrere dal primo luglio 2020. Un punto, quest’ultimo, che di fatto ha creato un vuoto normativo e forti incertezze. Come calcolare il fringe benefit dei veicoli immatricolati entro il 30 giugno 2020 e assegnati al dipendente dopo l’1 luglio? L’Agenzia delle Entrate si è espressa recentemente in merito, precisando che in questo caso, mancando un criterio forfetario, “i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili”.
In altre parole, il benefit del veicolo deve essere calcolato “scorporando la sola parte riferibile all’uso privato”, attraverso una complicata ricostruzione di tutti i viaggi eseguiti per lavoro. Un punto che sta creando disagi e un sovraccarico di lavoro per i responsabili dei parchi auto, senza contare il rischio di elusione fiscale. Non a caso, il 39,5% degli intervistati ha dichiarato di aver avuto e di avere tuttora problemi nel calcolare il fringe benefit di questi veicoli. Che costituiscono una fetta significativa (1.810 veicoli) sul totale delle auto a uso promiscuo del campione.
LE SOLUZIONI
Per chiudere, abbiamo chiesto al nostro panel quali soluzioni propongono per risolvere i problemi che l’attuale normativa determina. Su questo punto sono emerse tante posizioni diverse. Pochi Fleet Manager hanno risposto ‘nessuna’, perché non sono stati impattati o solo in minima parte dalla nuova normativa o perché hanno intenzione di verificare caso per caso, altri spingono i dipendenti a scegliere auto sotto i 160 g/km, togliendo dalla car list i veicoli che eccedono le soglie, optando ad esempio per i Mild Hybrid, o semplicemente addebitano il costo al driver, dopo averlo avvisato del principio ‘più inquini, più paghi’.
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Altri ancora chiedono la consulenza dei noleggiatori in merito. Altri hanno scavalcato il problema spostando i veicoli ‘problematici’ in pool, quindi senza assegnazione. La fetta più consistente invoca una revisione della normativa, oppure il ritorno al vecchio metodo di calcolo, che uniforma tutti i veicoli in uso promiscuo.
CONCLUSIONI
In questa reale confusione diffusa tutti ne fanno le spese: i driver, che in molti casi trovano una consistente decurtazione in busta paga, i Fleet Manager che si vedono invischiati in complicati e incerti calcoli, l’azienda che compromette il welfare, la Casa automobilistica, che in prospettiva vedrà diminuire le vendite di alcune categorie di auto che rappresentano il piacere di guida, il fascino di una maggior prestazione e una non trascurabile redditività.
Ci rimettono anche le società di noleggio che vedono rientrare un considerevole numero di auto ancora prima di incassare il primo canone e iniziare a scrivere la parola ammortamento nei libri contabili. E l’Agenzia delle Entrate? Il vuoto normativo conferma che la mancanza di chiarezza ha generato instabilità – ne sentiamo la mancanza? -, che gli introiti fiscali di un fantomatico fringe benefit, che in pochi sono in grado di calcolare, verranno a mancare e che il gettito fiscale inferiore legato al downsizing si farà sentire. In definitiva tutti ne escono ‘ammaccati’. Quindi possiamo dire che è urgente maggiore chiarezza e la definizione della tassazione su un unico criterio.