Si può parlare davvero di Hybridgate?
Consumi ed emissioni fino al 70% più alti sull'omologato (omologazione che sin da subito aveva sollevato più di un dubbio) e 5 volte tanto se si guarda alle plug-in hybrid aziendali. Si accende l'attenzione su questa tecnologia
In questo articolo
Con titoli ad effetto i media hanno iniziato a parlare di Hybridgate, ovvero di disallineamenti sui dati reali delle emissioni e dei consumi relativi alle auto ibride plug-in troppo diversi dai valori riscontrati dal ciclo di omologazione WLTP (Worldwide Harmonized Light Vehicles) richiamando quello che successe 8 anni fa, ovvero il Dieselgate, lo scandalo che ha cambiato le sorti dell’automotive in Europa. Ma, è bene sottolinearlo, è tutto un’altra storia. Anche se il consumatore si sente ugualmente beffato.
La questione è stata sollevata ulteriormente dall’ultimo esperimento di Transport & Environment insieme all’Università di Graz, il primo ad approfondire bene la questione e di cui abbiamo parlato anche noi. Ma se ne parla già da diversi anni.
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PLUG-IN HYBRID, E UN CICLO DI OMOLOGAZIONE NATO MALE
Lo studio dell’organo europeo dei trasporti e mobilità insieme all’università austriaca arriva proprio dopo che le auto plug-in hybrid sono finite nel mirino dell’Unione Europea, a causa delle sempre più frequenti denunce da parte di consumatori e associazioni, sia privati, sia aziende, che nell’uso quotidiano e pratico riscontrano consumi ben più elevati rispetto a quanto omologato ufficialmente. Fatto per cui anche le Case si sentono “vittime” di un ciclo di omologazione progettato male.
Ora, su questa testata chi scrive ha sempre sottolineato l’importanza di usare le PHEV per come sono state progettate, ovvero con la batteria sempre carica. E per quanto anche i fleet manager segnalino driver poco attenti, che usano l’auto per lo più a batteria scarica con conseguenze quasi nefaste per i consumi, è pur vero che anche se usate al meglio delle loro possibilità hanno dati piuttosto differenti.
E questo vale anche per l’autonomia dichiarata nella parte elettrica. Non è possibile dare un dato generale perché ogni vettura ha un comportamento diverso, ma in alcuni modelli l’autonomia della batteria è quasi dimezzata rispetto a quanto omologato, soprattutto in inverno.
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LE IBRIDE AZIENDALI CONSUMANO FINO A 5 VOLTE DI PIÙ
Il dato è già abbastanza preoccupante relativamente alle auto PHEV private, con consumi 3 volte più alti sul dichiarato; ma lo diventa ancora di più se si considerano le plug-in hybrid usate nei contesti aziendali, le quali consumano 5 volte tanto il dichiarato.
Lo ha rilevato l’Istituto Fraunhover in collaborazione con l’International Council on Clean Transportation (ICCT): i due enti hanno analizzato dati di 9 milioni di vetture PHEV di tutta Europa forniti volontariamente e anonimamente dagli utenti su diverse piattaforme online, e molti provenienti dalle banche dati dei fleet manager.
Spiega Patrick Plötz, coordinatore della Business Unit Energy Economy dell’Istituto Fraunhofer: “Il consumo di carburante nel mondo reale per gli ibridi plug-in guidati da privati è compreso tra 4,0 e 4,4 litri per 100 chilometri. Nel caso delle auto aziendali, i valori oscillano tra i 7,6 e 8,4 litri“. Valori altissimi per auto che dichiarano in media 1,5 litri ogni 100 chilometri. 1,5 litri per 100 km che neppure l’ufficio stampa più entusiasta dei plug-in – e ce ne sono stati… – ha mai ufficialmente sposato.
Non è un caso che il gap più alto sia nelle flotte: queste auto sono le più usate in autostrada, e dal momento che la maggior parte delle PHEV sono supportate da un motore benzina e non diesel, molto più energivoro ad alte velocità, ne deriva che in autostrada queste auto scaricano la batteria quasi subito e devono portarsi appresso auto più pesanti di almeno 300 kg. Ricordiamo che solo le plug-in Mercedes e Mitsubishi supportano anche la ricarica rapida, e solo quelle di Stoccarda con presa CCS, che sono le uniche, poi, ormi sul mercato a proporre Plug-in diesel.
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LO SI DICE DA UN PO’
Si è detto che lo studio di T&E e dell’Università di Graz arriva dopo altre denunce, che hanno portato a mettere le PHEV sotto il controllo delle istituzioni europee.
E del resto un po’ tutti lo dicevano da un po’. Nel corso degli anni e delle nostre survey o incontri con i Fleet Manager con cui abitualmente ci rapportiamo, la maggior parte di loro, se non tutti, ha lamentato l’enorme gap tra i dati dichiarati e quelli reali, riconoscendo da una parte il cattivo comportamento dei driver, ma comunque un certo costo in termini di carburante relativamente a queste vetture.
Anche perché può farsi doppio: devi rifornire un serbatoio di benzina più piccolo rispetto ad auto puramente endotermiche, e d’altro canto spendere anche soldi in elettricità.
I dati ancora una volta vedono enormi differenze tra i costruttori: per esempio, le vetture di Peugeot e Renault hanno gap sensibilmente ridotti e quasi vicini ai dati realistici, forse perché più piccole e leggere e con motori meno energivori, rispetto a auto più grandi e pesanti. Quelle naturalmente uscite peggio dallo studio.
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PERCHÉ I DATI SONO COSÌ DIVERSI?
Prima di tutto, insomma, cerchiamo di capire perché sul dichiarato c’è un dato, e sul reale ce ne sono altri. Sappiamo bene che consumi, emissioni e autonomia delle auto vengono calcolate per rispettare il ciclo di omologazione europeo WLTP.
Questo ciclo di omologazione viene usato dai costruttori per simulare consumi ed emissioni in quattro fasi. La criticità, soprattutto sulle PHEV, è però già evidente dalla durata del test: appena 30 minuti. La prova prevede specifiche condizioni di temperatura, e in questa mezz’ora simula appena 23,2 km di percorrenza divisi appunto in quattro momenti che replicano quattro scenari tipici della guida.
Rispetto al precedente ciclo è considerato più realistico, perché si concentra molto sull’intensità delle accelerazioni, sulle frenate e sulle lunghe fasi di stop. Si parte dalla WLTP Low, ovvero il ciclo urbano: dura 10 minuti e prevede una velocità massima di 56 km/h, per una velocità media di 19 km/h per rilasciare un primo dato di consumi ed emissioni.
Segue il WLTP Medium, che dura appena 6 minuti e mezzo e simula il suburbano e le strade statali: la velocità massima sale a 76 km/h e quella media a 50 km/h e le soste si riducono a 49 secondi.
Poi il WLTP High, che invece replica l’extraurbano: dura 7 minuti e mezzo e porta la vettura a raggiungere i 97 km/h (56 di velocità media) con 31 secondi di soste. Infine, l’extra-High, che dura 6 minuti e simula la guida in autostrada, con velocità massima di 131 km/h (media di 91), e un breve stop di 8 secondi. Forse quest’ultimo è quello più problematico, soprattutto sulle plug-in hybrid.
La velocità media analizzata è tutt’altro che realistica, e la differenza tra andare a 90 km/h e a 130 è abissale in termini di consumi, specialmente su auto a benzina e molto pesanti. E infatti, lo stesso Istituto Fraunhofer evidenzia come il nuovo ciclo WLTP porti a discrepanze ancora più alte rispetto al vecchio NEDC sulle plug-in hybrid.
Approfondisci: Come funziona il ciclo WLTP
NON È ANCORA TEMPO DI HYBRIDGATE
In conclusione, forse non si può ancora parlare di Hybridgate, almeno non nei termini in cui si era parlato di Dieselgate. In quel caso, infatti, volutamente alcuni costruttori avevano truccato i dati sulle emissioni.
In questo caso, sembra un problema più alla base: il ciclo WLTP poco si adatta al tipo di auto che sono le plug-in hybrid, dura troppo poco e usa parametri irrealistici. E forse anche le plug-in hybrid per natura non riescono a portare nel reale quello che promettono: sia in termini di guida, dove si avverte sempre che si parla di due o tre motori che lavorano insieme, sia in termini di emissioni.
“Gli ibridi Plug-in – ha dichiarato Anna Krajinska, vehicle emissions manager di Transport & Environment – sono venduti come la combinazione perfetta di un motore elettrico, utilizzabile nei centri cittadini, e di uno termico per lunghe distanze. Ma gli esperimenti compiuti ‘nel mondo reale’ mostrano che questa cosa è solo un mito”.
E se è pur vero che sono visti come auto di passaggio verso quelle totalmente elettriche, speriamo non portino all’effetto contrario rispetto a quanto voluto da Bruxelles. Ovvero, speriamo che non portino più CO2 nell’aria di quanta non ce ne sia già.
Anche perché il danno sarebbe doppio, se consideriamo a quanti soldi i singoli stati spendono in incentivi per queste auto, considerate tra le più efficienti, seconde solo alle elettriche e quindi meritevoli di contributi più alti. T&E parla di 350 milioni di euro per le sole PHEV delle marche analizzate (Peugeot, Renault e BMW). E in Italia sono quasi il doppio.
“Nel 2022 lo Stato italiano ha stanziato 770 milioni di euro per sostenere l’acquisto di veicoli ibridi plug-in fino al 2024, nonostante questa tecnologia abbia dimostrato di non essere realmente sostenibile” conclude Elena Lake, Electric Fleet Nationals Lead per T&E. “Per questo è necessario abolire i privilegi di cui godono questi mezzi, procedere subito a riformare la tassazione delle auto basandosi sulle effettive emissioni di CO2, eliminare le esenzioni al pagamento del bollo e azzerare gli incentivi ai veicoli ibridi oltre che a quelli endotermici. Per contro occorre invece incentivare l’acquisto dei modelli elettrici, gli unici realmente a zero emissioni”.
Insomma, va bene che in Italia siamo abituati agli sprechi. Ma come si suol dire, così è troppo persino per noi.
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