Perché la siccità deve preoccupare l’automotive
La crisi idrica sta (finalmente) preoccupando tutti. La siccità ha risvolti importantissimi sulle nostre vite, ma anche sull'economia. Ecco perché il settore automotive dovrebbe aprire gli occhi sul problema.
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Il 17 giugno è stata la Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione. A pochissimi giorni da questa data giornali, social e televisioni ci ricordano, con allarmante tempismo, quello che ambientalisti e scienziati ci ripetono da anni: dobbiamo smettere di sprecare le risorse. Soprattutto la risorsa più importante del nostro pianeta, l’acqua.
Con oltre il 20% del territorio nazionale a rischio desertificazione già nel 2018, la situazione non ha fatto altro che peggiorare da allora: l’assenza di precipitazioni invernali e l’aumento delle temperature ha portato l’Italia in piena crisi idrica.
Basti pensare che pioggia e neve durante il passato inverno sono calate rispettivamente -60% e -80% rispetto alla media stagionale. Una condizione che ha portato le principali aree rurali del Nord Italia, e in particolare il fiume Po, alla peggiore secca degli ultimi 70 anni.
Ma non è un problema tutto italiano. In tutto il mondo si stanno verificando eventi catastrofici, con precipitazioni improvvise e devastati (tipiche, un tempo, del climi tropicali), seguite da lunghi mesi di secca. Una situazione che sta colpendo non solo l’ambiente, ma anche l’economia. (Secondo Il Sole 24 Ore, in meno di 20 anni ha causato nel mondo perdite per oltre 120 miliardi di dollari).
Un problema che deve preoccupare anche l’automotive, per tanti motivi: dalla produzione alla messa in strada l’automobile è estremamente dipendente dall’H2O. Ecco perché la siccità avrà un impatto fortissimo sull’auto.
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QUANTA ACQUA VIENE UTILIZZATA PER PRODURRE LE AUTO
A preoccuparsi tra le prime del consumo sconsiderato che l’industria fa dell’acqua è stata l’Associazione europea dei costruttori di autoveicoli. Secondo i rilevamenti di ACEA sul fabbisogno idrico dell’industria automobilistica, nel 2018 si consumavano poco più di 3 mila litri di acqua per ogni veicolo.
Un dato in calo rispetto a qualche anno fa (nel 2003 per produrre un’auto erano necessari 6 m³ di acqua), quando la produzione totale europea buttava via 95 milioni di metri cubi di acqua, ma comunque preoccupante. Considerando anche che dal 2018 ad oggi, come sappiamo, le auto sono sempre più tecnologiche e la loro produzione è più complessa.
L’elemento principale di un auto poi, non è difficile indovinarlo, è il metallo, la cui lavorazione richiede, appunto, tantissima l’acqua. Così come per raffreddare gli utensili, i macchinari, lavare i pezzi durante le fasi di verniciatura e lastroferratura (che oltretutto producono acque reflue contaminate nocive per l’ambiente).
CI SARANNO ANCORA MENO CHIP
Secondo l’ultimo rapporto di sostenibilità dell’azienda TSMC (società taiwanese maggiore produttrice al mondo di semiconduttori per l’industria dell’auto), attualmente si utilizzano 156.000 tonnellate di acqua al giorno nella produzione di chip.
I numeri sono sorprendenti: un sistema EUV (Extreme Ultraviolet Lithography) da 200W richiede 1.600 litri di acqua al minuto per il raffreddamento solo per produrre i chip da 7nm. Le quantità si abbassano notevolmente (circa 75 litri/minuto) per una DUV (Deep Ultraviolet Lithography) che produce chip meno avanzati, ma, come dicevamo prima, oggi le auto hanno sempre più chip e questi sono sempre più avanzati. Le risorse idriche necessarie saranno sempre maggiori.
Per farvi un’idea del peso che la siccità può avere sulla carenza di chip, pensate che a Taiwan le scarse precipitazioni nel corso del 2020 hanno ridotto a tal punto le scorte d’acqua (specie nelle zone meridionali dove è presente anche lo stabilimento TSMC) che si è reso necessario farla arrivare via camion da altri bacini per portare avanti la produzione. La crisi idrica di Taiwan nel 2020 è uno dei principali fattori scatenanti del chip shortage.
DIMENTICHIAMOCI ANCHE L’IDROGENO
Non sarà più possibile neanche guidare a idrogeno. Dato che uno dei metodi principali per produrre grandi quantità di idrogeno puro e sostenibile risiede nell’elettrolisi dell’acqua. Ovvero un processo di scissione dell’acqua in idrogeno gassoso e ossigeno attraverso il passaggio della corrente elettrica che scompone le molecole.
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LE CONSEGUENZE DELLA SICCITÀ
NON C’È PIÙ CORRENTE
Il problema comunque non è limitato alla produzione. Anche guidare un’auto sarà sempre più difficile senza l’acqua. Soprattutto quando tutti (o quasi) viaggeremo in elettrico. La secca del Po sta mettendo letteralmente in ginocchio le centrali termoelettriche, che hanno bisogno di acqua per raffreddare i condensatori del vapore.
In poche settimane si sono fermate le centrali di Moncalieri, Sermide e Ostiglia. Ciò significa una produzione di 2.400 megawatt in meno. E sono a rischio anche quelle di Piacenza, La Casella, Chivasso, Turbigo, Tavazzano, altri 4.800 megawatt a rischio.
AUMENTERANNO LE EMISSIONI
Sapete cosa succede quando le centrali termoelettriche si fermano? Riaprono quelle a carbone. Le centrali di Venezia Fusina, La Spezia, Monfalcone si stanno preparando a ripartire, producendo una grandissima quantità di emissioni. Non solo, Terna per sopperire alla mancanza di elettricità ha dato ordine di far ripartire gli impianti di generazione di corrente inattivi, ossia quelli più vecchi e inquinanti.
Guardando al futuro, il rapporto della United Nations Convention to Combat Desertification prevede che entro il 2030 circa 700 milioni di persone nel mondo potrebbero diventare rifugiati climatici a causa della siccità. Per la metà del secolo il problema potrebbe colpire più di tre quarti della popolazione mondiale. Non possiamo fare altro che iniziare a prestare attenzione alle risorse idriche, senza sprecarle.
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