Smart working e mobilità aziendale: cosa succederà in futuro?
I dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano confermano il boom dopo la pandemia, anche se il fenomeno era già avviato in molte realtà. In futuro, spiega Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio, le trasferte con ogni probabilità si ridurranno, mentre la “mobilità dolce” è destinata ad aumentare.
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I numeri dello smart working, nell’ultimo anno, parlano naturalmente di una crescita esponenziale dopo l’avvento del Covid: la formula del lavoro agile, durante la fase più acuta del Coronavirus nel 2020, è stata attuata dal 97% delle grandi imprese italiane, dal 94% delle pubbliche amministrazioni e dal 58% delle piccole e medie imprese.
Parliamo di oltre 6 milioni e mezzo di smart worker, dieci volte tanti quelli del 2019, che poi a settembre 2020 sono scesi a 5,06 milioni. Dati, questi, raccolti dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, che confermano i trend che avevano fotografato anche noi alcuni mesi fa con la nostra indagine sui cambiamenti della mobilità aziendale: ormai lo smart working è entrato nella quotidianità degli italiani ed è destinato a restarci, indipendentemente dalla pandemia.
COSA SIGNIFICA FARE SMART WORKING
Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, chiarisce subito che il concetto di smart working si è ampliato rispetto all’accezione originale. “Per sua definizione, lo smart working non coincide necessariamente con l’home working: difatti, si può effettuare stando a casa, in ufficio o in spazi di co-working, e si caratterizza per un ripensamento in toto del metodo di lavoro classico, con una valutazione delle performance per obiettivi. Dopo la pandemia, lo smart working, invece, si è inevitabilmente trasformato in lavoro da remoto, ma in molti casi non c’è stato un cambiamento del metodo”.
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Fatta questa premessa, la pandemia ha inciso tantissimo e “il lavoro da remoto è stato uno strumento per garantire la continuità di business delle aziende e la sicurezza sanitaria dei dipendenti. La crescita dei numeri è stata determinata certamente anche dai provvedimenti del Governo, che ha snellito parecchio le operazioni burocratiche, facilitando l’accesso allo smart working. Dall’altra parte, come accennato, il Covid non ha dato il tempo di ‘fare formazione’ sul tema e, quindi, non sempre nelle aziende si è sviluppato il tradizionale smart working”.
IL RUOLO DEL COVID
L’avvento del Covid, quindi, ha determinato il proliferare di due tipologie di smart working. Da una parte, continua Fiorella Crespi, “coloro che avevano già sviluppato negli anni precedenti veri progetti di smart working, con il cambio di mentalità e di paradigma lavorativo, che hanno proseguito su questa strada”.
Dall’altra parte “ci sono realtà che hanno promosso il lavoro da remoto soltanto per una situazione contingente legata all’emergenza sanitaria”. I primi, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, alimenteranno certamente il fenomeno anche nei prossimi anni in misura maggiore rispetto ai secondi. In generale, però, è prevista un’ulteriore evoluzione del fenomeno. La “nuova normalità” che si creerà al termine dell’emergenza porterà, stima l’Osservatorio, a 5,35 milioni di persone che lavoreranno almeno in parte da remoto, di cui 1,72 milioni nelle grandi imprese, 920mila nelle pmi, 1,23 milioni nelle microimprese e 1,48 milioni nelle PA.
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GLI IMPATTI DELLO SMART WORKING SULLA MOBILITÁ AZIENDALE
Come sappiamo, la crescita dello smart working nei mesi scorsi non ha determinato un calo di popolarità dell’auto, perché la mobilità su quattro ruote si è confermata la più sicura nel contesto pandemico, né tantomeno un calo di consistenza delle flotte, visto che molte realtà hanno prolungato i contratti di noleggio. Ma cosa succederà in futuro?
“L’ulteriore sviluppo dello smart working è destinato a ridurre le trasferte, dato che molte riunioni verranno effettuate da remoto, ma secondo il nostro punto di vista il lavoro in presenza continuerà ad essere, almeno in parte, protagonista”. Se l’auto aziendale rimarrà un benefit importante, magari con chilometraggi inferiori, “ci attendiamo uno sviluppo dei mezzi legati alla cosiddetta mobilità dolce, come le biciclette o il car sharing”.
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UN FUTURO IN SMART WORKING: SIAMO PRONTI?
Resta da capire se realmente siamo pronti per affrontare un futuro caratterizzato dallo smart working. La pandemia, infatti, ha inesorabilmente messo a nudo l’impreparazione tecnologica di molte organizzazioni. “La connessione, la disponibilità dei devices (ovvero i pc portatili) e l’accesso sicuro ai software aziendali costituiranno fattori decisivi nel prossimo futuro”.
“Secondo noi il fenomeno prenderà sempre più piede, anche se, come dicevamo, con un approccio diverso rispetto a quello attuato durante l’emergenza” conclude Fiorella Crespi. In molte realtà di vari settori, compreso quello pubblico, i dipendenti potranno dunque lavorare da casa almeno 2-3 giorni alla settimana. Anche perché lo smart working atipico del Covid, come testimoniano ancora i dati dell’Osservatorio, ha contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi aziende e il 53% delle PA), a ripensare i processi aziendali (59% e 42%) e ad abbattere (nel 65% delle grandi aziende) barriere e pregiudizi sul lavoro agile.