Parliamo del Ponte, ma il Sud Italia è senza treni
Tra il 2010 e il 2020 sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro: 310 km di autostrade a fronte di appena 91 km di metropolitane e 63 di tranvie. A pagarne il prezzo più caro è il Sud, dove mancano le rotaie (spesso mono e non elettrificate) e i mezzi hanno il doppio degli anni di quelli a Nord.
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Sentiamo spesso parlare di un’Italia a due velocità per quanto riguarda la mobilità elettrica e l’infrastruttura di ricarica, si è riaccesa la fiamma (e la polemica) del Ponte sullo Stretto di Messina, abbiamo parlato di smart road per le quali Anas ha stanziato un miliardo di euro. Però mancano i treni, soprattutto nel Meridione dove la rete è meno capillare (la maggior parte a binario unico e non elettrificata), le corse più scarse (in Sicilia circa un quarto di quelle lombarde) e i treni più vecchi (l’età media di 18,5 anni, migliorata rispetto al 2020, quando era di 19,2, ma comunque quasi il doppio degli 11,9 anni dei mezzi al Settentrione).
Non che i fondi manchino completamente – anche se non sono sufficienti – perché ancora a novembre 2021 furono assegnati 200 milioni di euro a Trenitalia proprio per il Sud, per l’acquisto di locomotive a combustibili puliti da utilizzare per svolgere il servizio universale di media e lunga. Gli appalti pubblici di fornitura devono ancora essere aggiudicati, la scadenza è a giugno 2023. 200 milioni dal Pnrr, che permetteranno l’acquisto di nuovi treni Intercity: 7 treni bimodali per i collegamenti Reggio Calabria-Taranto, sulla linea Jonica, che saranno in funzione entro fine 2024 e 70 nuove carrozze notte per i treni in Sicilia (entro il 2026) e il revamping di quelli già in circolazione. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza poi assegna ulteriori 50 milioni per le linee ferroviarie non elettrificate, con l’acquisto di treni a batteria o a idrogeno.
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I piani quindi ci sono, ma per il momento il servizio su rotaia al Sud resta un miraggio per molte zone. A sottolinearlo è anche il rapporto Pendolaria 2023 di Legambiente.
In Sicilia 506 treni regionali al giorno. In Lombardia sono 2.173
Che in Lombardia ci possano essere più treni regionali che in Sicilia è comprensibile, dal momento che hanno rispettivamente 1o e 5 milioni di abitanti. Ma se l’isola ha la metà degli abitanti della Regione settentrionale, non si spiega perché i treni siano ridotti ad un quarto: 506 contro le 2.173 della Lombardia.
Se poi dicessimo ad un milanese che da domani si cancella il treno diretto (anzi, i treni diretti, più d’uno) a Venezia non ci crederebbe. Peccato che tra Napoli e Bari sia proprio così: quei 260 chilometri (la stessa distanza di un Milano-Venezia) non sono collegati, qui i treni diretti non esistono.
Esisteva poi la linea Palermo-Trapani, al passato perché chiusa dal 2013 a causa di smottamenti, o la Caltagirone-Gela non più attiva dall’8 maggio 2011, dopo il crollo del Ponte Carbone. Non abbiamo finito: inattiva da oltre sei anni la Corato-Andria, dopo l’incidente che il 12 luglio 2016 causò 23 vittime.
Si punta tutto sulla gomma
Tra il 2010 e il 2020 – a denunciarlo è Legambiente nel suo report – sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro. Stiamo parlando di 310 km di autostrade e innumerevoli chilometri di strade nazionali costruire in 10 anni a fronte di appena 91 km di metropolitane e 63 di tranvie.
Parliamo di mobilità green, ma senza mezzi, infrastrutture e servizi il numero di passeggeri trasportabili dal nostro sistema ferroviario non ci permetterà mai di tagliare le emissioni di Co2 come previsto dall’Accordo di Parigi.
“Il processo di riconversione dei trasporti – spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – è fondamentale. Lo è se vogliamo rispettare gli obiettivi del Green Deal europeo, del taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 e del loro azzeramento entro il 2050, visto che il settore è responsabile di oltre un quarto delle emissioni italiane che, in valore assoluto, sono addirittura cresciute rispetto al 1990. Per questo è fondamentale invertire la rotta e puntare su importanti investimenti per la cura del ferro del nostro Paese, smettendola di rincorrere inutili opere come il Ponte sullo Stretto di Messina“.
Le tratte peggiori
Dal rapporto Pendolaria 2023 emergono le 10 linee peggiori d’Italia:
- le Ex linee Circumvesuviane,
- la Roma-Lido e Roma Nord-Viterbo,
- la Catania-Caltagirone-Gela,
- Milano-Mortara,
- Verona-Rovigo e Rovigo-Chioggia,
- Genova-Acqui-Asti,
- Novara-Biella-Santhià,
- Trento-Bassano Del Grappa,
- Portomaggiore-Bologna,
- Bari-Bitritto.
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Mancano i soldi?
La legge di Bilancio 2022 ha istituito il Fondo per la strategia di mobilità sostenibile con 2 miliardi di euro per ridurre le emissioni climalteranti del settore dei trasporti e che verranno dedicati anche a mezzi pubblici e alle infrastrutture digitali per la gestione e il monitoraggio del traffico ferroviario.
Il vero problema economico arriva dalla disattenzione delle Regioni: solo il 0,57% dei bilanci regionali è stato dedicato al trasporto su ferro nel 2021, tornando indietro di un anno si fermava allo 0,34%, dimezzato rispetto allo 0,65% del 2019.
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