Mind the gender gap: donne e sicurezza sui mezzi pubblici
L’esposizione delle donne ad aggressioni, molestie sessuali o altre forme di comportamento inappropriato sui mezzi pubblici, oltre ad essere un rischio per la sicurezza fisica, provoca anche danni economici e sociali, inasprendo la disuguaglianza e il divario di mobilità di genere.
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Oltre l’80% delle donne dichiara di aver subito molestie in pubblico. Un timore ancora più reale sui mezzi pubblici, che ha un impatto sull’accesso alle opportunità lavorative e sulla qualità di vita. A questo si aggiunge la paura di denunciare (il 90% delle molestie sui trasporti non viene segnalato). Senza dati la sottostima fa del pericolo un problema invisibile, un segreto di Pulcinella che tutti conoscono ma non riconoscono come meritevole di intervento.
Il problema della sicurezza sui mezzi pubblici
Stazioni e fermate sono spazi vulnerabili per le donne, a causa dell’affollamento nelle ore di punta, ma anche delle aree isolate. Secondo un’indagine francese del 2017, “Victimation et sentiment d’insécurité en Île-de France”, le stazioni sono teatro del 39% delle aggressioni sessuali.
Nella metropolitana di New York le donne sono più spesso vittima di rapine, contatti indesiderati (340 sono solo i casi segnalati nel 2015), oscenità in pubblico (223 casi) e abusi sessuali (130 casi). Questi problemi sono intensificati dal fatto che le donne tendono a viaggiare in orari di pendolarismo atipici, poiché sono tipici di settori come l’assistenza sanitaria, la vendita al dettaglio e l’istruzione, che spesso non rispettano la tradizionale giornata lavorativa 9-17.
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I luoghi di rischio per la sicurezza delle donne
Secondo un’indagine del Mineta International Institute (Usa) c’è una concentrazione di misure di sicurezza sulle zone chiuse e più facilmente controllabili del sistema di trasporto (autobus, treni e banchine delle stazioni) e relativo disinteresse di quelle più esposte (fermate e parcheggi).
Le utenti hanno, in genere, più paura di aspettare alle fermate degli autobus isolate, o di camminare in parcheggi poco illuminati, che di essere sedute tra gli altri passeggeri sull’autobus o sul treno. Altro errore, privilegiare misure di sicurezza tecnologiche: c’è maggior sicurezza nell’essere osser- vate da un agente di polizia, che dalle lenti delle telecamere a circuito chiuso.
In questa direzione, per esempio, il progetto italiano che ha coinvolto l’Esercito (l’operazione “Strade Sicure” avviata il 4 agosto 2008) nel prestare servizio all’interno delle stazioni della metropolitana, non solo all’esterno.
Uomini e donne: diverse esigenze di mobilità
Gli urbanisti viennesi si sono così resi conto che uomini e donne hanno esigenze diverse a causa dei loro ruoli differenti. Un sondaggio condotto tra gli utilizzatori del trasporto pubblico locale di Vienna ha mostrato che, a fronte di percorsi maschili generalmente brevi e lineari, per lo più inerenti agli spostamenti casa-lavoro, l’utilizzo del trasporto pubblico da parte delle donne è più complesso e vario. Una modalità di viaggio composta da più tappe concatenate, detta anche trip chaining.
Una visione “maschile” del trasporto pubblico si riflette anche nella progettazione degli spazi, che non tiene conto delle esigenze specifiche di genere. Un esempio sono i sostegni sui vagoni, difficili da raggiungere per molte donne perché progettate sul corpo degli uomini, mediamente più alti.
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I “vagoni donna”
Negli ultimi anni hanno iniziato a diffondersi a livello globale mezzi di trasporto ad uso esclusivo delle donne. Dai vagoni riservati in treno, ai bus, fino ai taxi guidati da donne e a loro riservati, le iniziative puntano a proteggere l’utenza femminile dalle molestie sui mezzi pubblici.
I cosiddetti “vagoni donne” hanno suscitato non poche critiche, che partono dall’elementare concetto che è l’atteggiamento errato a dover essere evitato e non la potenziale vittima a doversi nascondere. Ad avvalorare le critiche, i dati relativi alla metropoli di Tokyo (gli unici ad oggi disponibili) che, in seguito all’istituzione dei vagoni riservati alle donne, ha visto scendere gli attacchi contro le donne di appena il 3%.
Eliminare discriminazioni e molestie sui mezzi pubblici
Far sedere le donne al tavolo, per guidare attivamente il cambiamento e garantire un’equa rappresentanza nella pianificazione e nel processo decisionale, è un imperativo. Oggi le donne costituiscono solo il 22% della forza lavoro nel settore dei trasporti nell’UE (e meno del 5% degli autisti è donna) secondo Women in Transport – EU Platform for change.
Secondo un’indagine del 2017 della European Transport Workers’ Federation, poi, il 63% delle donne impiegate ha subito violenze: il 49% da clienti, il 22% da colleghi e il 17% da dirigenti o supervisori. Tra le donne che hanno denunciato un caso, l’80% credeva che la denuncia non avrebbe avuto conseguenze per l’autore del reato.
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Le iniziative a tutela delle donne sui mezzi pubblici
Nell’ultimo decennio, i decision makers più “illuminati” hanno iniziato a rispondere al divario di mobilità di genere. In Gran Bretagna, già nel 2007 il governo ha approvato il Gender Equality Duty, per promuovere la parità di genere ed eliminare la discriminazione sessuale e molestie nella PA, mentre TfL, l’autorità locale pubblica che regola gran parte del trasporto pubblico di Londra, ha avviato piani mirati alle esigenze delle viaggiatrici.
Nello stesso anno, Città del Messico ha avviato il programma WE TRAVEL SAFE, con l’obiettivo di rispondere ai bisogni delle donne e prevenire la violenza. In Canada, i municipi hanno finanziato METRAC, per condurre audit di sicurezza delle strutture di trasporto. In Giappone, Brasile e India, gli operatori di TPL hanno avviato iniziative specifiche per rispondere meglio ai bisogni delle viaggiatrici.
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