Fit for 55 e Dichiarazione sull’auto COP26: una visione comune assente
La contestazione della messa al bando globale delle auto non a zero emissioni nel 2040 avanzata da Herbert Diess, a.d. Volkswagen, è di un'assenza di realismo. I nodi verso la discussione del Fit for 55 e le posizioni diverse dall'Europa sulla mobilità a zero emissioni
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La realtà è la crisi ambientale, l’incremento medio della temperatura globale che, nel migliore dei casi di un contenimento sui valori indicati dalla scienza, fermerà allo stato attuale gli effetti già critici che le emissioni inquinanti producono, con gli stravolgimenti climatici evidenti.
La realtà è nel contributo che la mobilità su gomma deve apportare, nel fare la propria parte – che non può essere esclusiva ma in una visione sistemica deve considerare tutto un modello di vita e di produzione industriale – a rendere davvero pulito non solo il “prodotto nuovo” che verrà immesso sul mercato ma il parco circolante.
COP26, LA DICHIARAZIONE SULL’AUTO SNOBBATA
La realtà racconta come l’univoca direzione verso l’auto elettrica non possa essere la soluzione esclusiva. Non può esserlo su un piano globale, del quale si è discusso alla COP26 e in termini non vincolanti, con un documento di fatto snobbato dai grandi protagonisti, Stati, gruppi automobilistici che sommati nei loro volumi produttivi annui sono superiori al parterre di case che ha aderito.
La materia è quella della messa al bando del motore termico – nella vendita di auto nuove -, entro il 2035 sui principali mercati globali ed entro il 2040 in toto.
La Dichiarazione di Glasgow sull’auto e i van a emissioni zero guarda a impegni e buone pratiche in un’ottica globale. Le voci dell’industria dell’auto si sono fatte sentire, a giustificare la mancata adesione a quel documento. Volkswagen, Toyota, per dire di due gruppi tra i non firmatari. Oltre a Stellantis, Hyundai/KIA, Honda, Nissan, BMW. Hanno firmato, invece, Ford, GM, Mercedes, Volvo, il Gruppo Jaguar Land Rover e i cinesi di BYD.
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Herbert Diess, a.d. Volkswagen, ha spiegato a Handelsblett il no sottolineando il dato di realtà, dalla rete di ricarica in Europa fino alla produzione di energia a impatto zero; in Toyota, la sottolineatura sulle barriere alla mobilità che un passaggio all’elettrico imporrebbe in determinate aree del mondo.
L’ASSISTENZA DEI GRANDI AI MERCATI EMERGENTI
Il documento contiene enunciazioni di principio, la necessità della collaborazione tra Stati, gli aiuti da portare alle economie emergenti, ai paesi in via di sviluppo, perché possano arrivare a una mobilità a zero emissioni. “(…) Collettivamente ci impegniamo a supportare una transizione globale, equilibrata e giusta, che non lasci indietro nessun Paese o comunità. Dove rappresentiamo mercati guida, lavoreremo a rafforzare la nostra offerta di supporto internazionale per paesi in via di sviluppo, mercati emergenti ed economie in transizione, compreso dove possibile mediante assistenza tecnica, finanziaria e capacità di costruzione”, si legge nel documento.
L’EUROPA È AVANTI CON IL FIT FOR 55. TROPPO?
Esiste un problema di realtà emergenti, paesi in condizioni economiche svantaggiate, da supportare. E’ altrettanto vero che gli impegni tratteggiati anche solo in Europa, ad esempio in merito alla diffusione dell’infrastruttura di ricarica, appaiono essere insufficienti nei numeri prospettati dal piano Fit for 55.
Australia, Cina, Stati Uniti, Italia, Germania, sono solo alcuni dei Paesi che non hanno firmato la Dichiarazione di Glasgow sull’auto. Poi c’è un’Europa d’avanguardia nel suo essere istituzione, c’è il piano Fit for 55, il dimezzamento delle emissioni inquinanti non solo dai trasporti su gomma, l’imposizione – tutta da discutere – della messa al bando delle auto non a emissioni zero a partire dal 2035.
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Una sorta di perifrasi per dire che il motore termico è morto. L’elettrico, però, nello stato attuale non sembra godere di splendida forma. La transizione tecnologica è ben più di uno scenario impattante sul modo in cui oltre 300 milioni di europei si sposteranno dal 2035 in poi.
I COSTI DEL SOLO ELETTRICO
La transizione ha dei costi, che sono sociali, di posti di lavoro, di accessibilità nell’acquisto in assenza di massicce campagne di incentivi, di materie prime che andranno estratte. Un punto, quest’ultimo, di interrogativi su un’altra sostenibilità, dei diritti dei lavoratori nei paesi soprattutto africani, asiatici, ricchi di giacimenti di terre rare. La certificazione di un approvvigionamento di materie prime necessarie alle auto elettriche, che sia rispettoso dei diritti umani, si infrange nella catena lunga che arriva agli ultimi anelli di chi estrae le terre rare.
VERSO LE DISCUSSIONI SUL FIT FOR 55
Non essersi impegnati sulla Dichiarazione di Glasgow relativa all’auto elettrica, specialmente i Paesi europei rappresentativi dei grandi mercati dell’area a 26 – hanno firmato, invece, gli Stati del nord Europa, con un posizione di partenza già molto avanzata sulla diffusione dell’elettrico ma anche volumi complessivi dei mercati di gran lunga inferiori se confrontati con Germania, Italia, Francia, Spagna – sembra essere un’anticipazione del percorso che attende in sede europea.
La proposta di messa al bando del motore termico dal 2035, infatti, andrà discussa e non sono mancate le voci critiche, i distinguo, la richiesta di posizioni non di principio verso una specifica tecnologia. In Italia esiste il nodo delle aziende produttrici di componenti per auto, una filiera da riconvertire in un tempo relativamente breve, con l’orizzonte del 2035.
In Repubblica Ceca, il premier ha scandito chiaramente la posizione contraria alla proposta della Commissione Europea di messa al bando delle auto termiche.
Ancora, dall’ACEA, rappresentante dei costruttori di auto europei, i distinguo e le richieste di impegni vincolanti per gli Stati europei sull’installazione delle colonnine di ricarica, in parallelo a una sfida enorme per l’industria dell’auto.
DISECONOMIE ESTERNE
Le posizioni sono molteplici e il tutto avviene in un’area da 330 milioni di persone. Un’Europa grande inquinatrice per stile di vita tra i grandi inquinatori del globo. E agli altri? Il rischio concreto è di subire diseconomie esterne da una posizione avanzata, pionieristica sulla mobilità esclusivamente a zero emissioni, da parte di Stati che non si sono affatto impegnati su un simile percorso di transizione ecologica. Australia, Cina, Stati Uniti, per dire di aree cruciali e paesi tra i grandi inquinatori, non prospettano soluzioni simili al Fit for 55 dell’Europa quanto alla messa al bando delle auto nuove termiche.
A giustificare la mancata firma della Dichiarazione sull’auto, un portavoce del governo tedesco ha spiegato come si attendano anche gli sviluppi sul campo degli e-fuels.
Ecco, in una visione più bilanciata e davvero globale, piuttosto che un’imposizione dell’elettrico quale via esclusiva alle zero emissioni, andrebbero considerate e sviluppate più tecnologie in grado di abbattere radicalmente le emissioni di CO2 dal trasporto su gomma. Che sia l’idrogeno – non nella forma delle fuel cell, o perlomeno non solo -, che sia l’apporto degli e-fuels.