L’Italia ha sbagliato tutto con le auto?
![L’Italia ha sbagliato tutto con le auto?](https://www.fleetmagazine.com/wp-content/uploads/2024/02/08_Fiat-Panda_G.Vico-Plant.jpg)
La produzione automobilistica cala, e ciò non si deve a Stellantis quanto al frutto di decenni di scelte sbagliate che hanno penalizzato la nostra industria
In questo articolo
In Italia si producono sempre meno automobili, e non è un fatto esclusivo degli ultimi anni. Le vicissitudini di Stellantis possono avere una qualche responsabilità, ma la verità è che l’Italia ha smesso di investire nell’auto da molto tempo, come ha fatto anche per altre industrie.
E proprio come avvenuto in altri settori, anche l’auto italiana, intesa come quella prodotta in Italia, è sempre più un prodotto che guarda al luxury, di marchi prestigiosi e ai più inavvicinabili come Ferrari, Lamborghini e Pagani.
Leggi Anche: La nuova mappa dell’industria automobilistica italiana
2024, UN ALTRO ANNO DI DECLINO
La produzione di automobili in Italia ha registrato un significativo calo nei primi mesi del 2024, sottoperformando rispetto ad altri paesi europei. Secondo i dati preliminari rilasciati da ANFIA, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, la produzione di auto passeggeri è diminuita di nuovi, con un calo del 5,1% a febbraio 2024 e 41.873 unità prodotte; e del 19,1% nei primi due mesi dell’anno, totalizzando 69.249 unità.
Se si confronta l’Italia con gli altri paesi, lo scenario è impietoso. Anche in Germania la produzione automobilistica nel 2024 è calata del 5% a gennaio e del 2% a febbraio, ma i numeri sono ben altri: 674.000 unità nel primo mese, 374.800 unità nel secondo. Il Regno Unito addirittura cresce del 14,6% con 79.007 auto solo a febbraio, e un totale di 162.904 unità nei primi due mesi dell’anno (17,8%). E così in Spagna, con l’1,8% a febbraio, con 182.567 auto, e il 9% nei primi due mesi dell’anno, con 359.375 unità.
Eppure, anche gli altri paesi hanno conosciuto una (s)vendita dei propri marchi. In particolare il Regno Unito è quello i cui marchi automobilistici sono stati tutti comprati da società estere, da Jaguar e Land Rover a MG a Lotus, segno che però negli accordi sono stati più bravi a lasciare progettazione e in molti casi produzione locale, senza contare che nel Regno Unito hanno centri di sviluppo e produzioni anche marchi stranieri come Nissan e Ford.
La Spagna, poi, è un caso ancora più interessante. Un solo marchio automobilistico (Cupra/Seat), ma la capacità di attrarre la produzione di molti altri marchi, sia interni al gruppo Volkswagen, sia Stellantis e Renault. Senza contare la Polonia, che non ha nessun marchio, ma produce tantissimo, soprattutto auto di marchi italiani.
Anfia ha sottolineato come “il settore della produzione automobilistica si trovi in un contesto di produzione industriale ancora in calo a febbraio rispetto ai livelli dell’anno precedente”. Al momento, l’Italia conta 23 impianti di produzione automobilistica, mentre la Spagna ne ha 17, la Francia 31 e la Germania 42. Nel 2023, l’Italia ha prodotto un totale di 796.394 veicoli, inclusi auto, furgoni e camion, di cui 521.842 di Stellantis.
Leggi Anche: Stellantis e l’incertezza degli stabilimenti italiani senza incentivi
GLI ERRORI STORICI E IL FIAT-CENTRISMO
Anfia sta collaborando con il governo e Stellantis per definire una roadmap per il rilancio dell’industria automobilistica e la transizione energetica, con l’obiettivo di aumentare la capacità produttiva dell’Italia oltre il milione di veicoli all’anno, grazie al supporto statale per la decarbonizzazione, la ricerca e lo sviluppo, e nuovi investimenti in impianti di produzione. Un forte ottimismo, che per ora sembra però solo ottimismo, visto che nel 2023 i numeri raggiunti sono solo la metà.
Ma quello che vediamo ora è il risultato di anni in cui sono state prese quasi sempre decisioni sbagliate, e di una politica totalmente disinteressata al settore. Il Sole 24 Ore, per esempio, ha di recente ricordato il caso Toyota: negli anni Novanta, infatti, il costruttore nipponico cercava stabilimenti europei per produrre la Yaris e, di fronte al totale disinteresse dei governi italiani di quel periodo, scelse poi la Francia, dove tutt’ora viene prodotta insieme alla Yaris Cross.
Così come quando Ford voleva comprare Alfa Romeo, questione rimasta irrisolta (forse in questo caso un bene, vista la gestione che Ford ha riservato a Jaguar, Mazda e Volvo). Ma il caso più emblematico è quello del Fiat-centrismo. Negli altri paesi, ci sono almeno due grandi produttori di auto: in Francia c’erano PSA/Stellantis e Renault Group, in Germania ci sono BMW, Mercedes e Volkswagen (e Stellantis, vista l’importanza degli stabilimenti Opel), negli USA General Motors, Ford e Stellantis.
Come spesso succede quando si parla dell’industria italiana, da noi fu diverso. Nel corso dei decenni, alla fine Fiat riuscì a comprare tutto e tutti: da Autobianchi a Maserati, da Alfa Romeo a Lancia, e per un periodo anche Ferrari, all’inizio del XXI secolo solamente Lamborghini, Ducati e Piaggio (che però fanno moto) non erano stati fagocitati dal Lingotto.
Se questo certo ha dato una certa identità al paese, a lungo andare questa fame di Fiat, senza che nessun tipo di Anti-trust nazionale sia mai intervenuto, si è rivelata fallace, e ben prima di Stellantis, quando già Fiat Group e poi FCA hanno iniziato a delocalizzare la produzione, ha contribuito a creare scenari di cassa integrazione, chiusura di stabilimenti, riduzione di altri.
E il Fiat-centrismo, del resto, ha ridotto anche la competizione manageriale: con una mentalità lavorativa tipicamente italiana, molto pretenziosa e molto poco meritocratica, Fiat ha contribuito ad “allevare” talenti, lasciandoseli poi scappare. Su tutti? Luca De Meo, autore della Fiat 500 del 2007 (un successo enorme), e da lì andato a risollevare sia Seat che, ora, Renault.
Ad oggi, in in Italia si disegnano molte auto, ma se ne producono poche. Come la Jeep Avenger, disegnata a Torino e prodotta in Polonia, al pari delle cugine Fiat 600 e Alfa Romeo Junior. Ma italiani sono anche alcuni progetti di Suzuki.
Nel Bel Paese, oggi Stellantis produce Panda, 500 elettrica (presto affiancata da una gemella ibrida), Jeep Compass e Renegade, e tutti i modelli di Alfa Romeo eccetto la Junior, così come le Maserati. Anche Ferrari, Lamborghini e Pagani producono nel Bel Paese, lo fa Pininfarina nella sua nuova identità di produttore di auto (la Battista è prodotta a Cambiano), lo fa Automobili Estrema, nuovo produttore di hypercar elettriche con sede a Modena. Insomma, è rimasta la produzione, molto di nicchia, di auto iper costose, mentre sono andate via quelle di massa.
Così come una nuova frontiera è quella dell’assemblaggio e dell’importazione, vedasi l’esempio DR Automobili e, più di recente, Cirelli. A nulla sono valsi gli annunci di questo governo, solo a parole molto forte, di portare la produzione dei cinesi in Italia, come Leapmotor. Quando invece, per rilanciare l’industria, servirebbe non ripetere gli errori fatti negli anni Novanta con Toyota.
Leggi Anche: La corte (inutile) dell’Italia a Tesla e BYD
LA BATTAGLIA SULLE BANDERINE
Governo forte solo a parole, perché le azioni sono pressoché inutili. In uno spirito da piena campagna elettorale per le europee, l’attuale governo ha deciso di provare a “tenere in pugno” Stellantis con alcuni che più che ricatti sono capricci.
Si è iniziato con la Alfa Romeo Milano, costretta a cambiare nome in Junior perché non prodotta a Milano. E più di recente con il blocco di numerose Fiat Topolino al porto di Livorno, provenienti dal Marocco ma con la bandierina italiana sul telaio. Il governo si appoggia e interpreta ad alcune leggi sulla legittimità o meno della bandiera italiana su un prodotto realizzato altrove (la legge riguarda la dicitura Made in Italy, non le bandiere).
A conferma di un’interpretazione sbagliata, la totale assenza di interesse del governo su altri prodotti che di italiano non hanno nulla, e che pure presentano più di un tricolore, come le auto di DR Automobili e Cirelli, che sono importazioni con rebrand di auto cinesi. Azioni del genere servono a qualcosa? Difficile che Stellantis decida di aprire nuovi stabilimenti in Italia di fronte ai capricci di un governo arrivato sulla questione troppo tardi per qualche voto in più.
Anzi, c’è addirittura il rischio che azioni del genere ottengano anche l’effetto contrario, contribuendo di nuovo a ridurre la già bassa produzione automobilistica italiana.
***
CONTINUA A LEGGERE SU FLEETMAGAZINE.COM
Per rimanere sempre aggiornato seguici sul canale Telegram ufficiale e Google News.
Iscriviti alla nostra Newsletter per non perderti le ultime novità di Fleet Magazine.