Chi è Chery, il produttore cinese dietro le DR

Nato come "auto del popolo" per una delle province all'epoca più povere della Cina, Chery dal 2001 ad oggi è divenuto uno dei più grandi produttori cinesi, e negli ultimi tempi ha cambiato in positivo la sua immagine. E ora è pronta per l'Europa
In questo articolo
Sappiamo che il settore automobilistico cinese sta vivendo un momento di grande espansione, soprattutto estera a causa della saturazione del mercato interna.
Qualcuno però è presente in Europa da anni, anche se indirettamente: parliamo delle auto di Chery che, dal 2007, sono importate e riallestite in Italia dall’azienda molisana DR. Tuttavia, sfruttando l’onda dei competitor, dalla fine del 2023 Chery è presente anche ufficialmente in Europa, non a suo marchio ma con due creati ad hoc: Omoda e Jaecoo.
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LA STORIA DI CHERY, L'”AUTO DEL POPOLO” CINESE
Chery è stata fondata a metà degli anni ’90 come impresa statale nella città cinese orientale di Wuhu, nella provincia di Anhui, all’epoca una delle province più povere della Cina. La gestione dell’azienda era inizialmente composta da Zhan Xialai, assistente del sindaco di Wuhu, e Zhou Biren, dirigente presso un’azienda di forniture edili di proprietà del governo locale.
Insieme, hanno pensato che creare una casa automobilistica potesse essere un modo per ridurre la povertà, fornendo lavoro che avrebbe aumentato i redditi e quindi guidato la crescita economica nella più ampia regione dell’Anhui.
Prima che qualsiasi auto potesse essere prodotta, era necessario procurarsi e organizzare fabbriche, attrezzature, una catena di approvvigionamento e altri equipaggiamenti di produzione, e fu con questo obiettivo che Biren volò nel Regno Unito nel 1996 per acquistare attrezzature per la produzione di motori che erano state scartate dalla Ford; e anche alcune attrezzature di Seat, dal momento che la prima generazione della Toledo stava uscendo di produzione.
La costruzione della fabbrica iniziò successivamente all’inizio del 1997, con le prime vetture che uscirono dalla linea di produzione verso la fine del 1999. La prima auto di Chery, la Fengyun (traduzione approssimativa: ‘nuvola di vento’), era quasi identica esteticamente alla Toledo, anche se sotto il cofano utilizzava vari componenti Ford, General Motors e Volkswagen. Revisioni successive sotto i nomi di Amulet e Cowin portarono un aspetto più distinto, ma oggi in Cina il nome Fengyun è tornato, non più come copia visiva di un modello europeo ma come sotto-famiglia di modelli elettrici e ibridi.
A questo punto, sembrava che Chery avesse rapidamente completato il lavoro sostanziale per essere un produttore di auto autonomo, con vetture effettivamente prodotte. Sfortunatamente, però, un pezzo del puzzle che la nuova azienda aveva dimenticato era quello di ottenere le autorizzazioni e le licenze necessarie per effettivamente vendere le auto che stava producendo.
Mancando di una licenza governativa per la produzione di auto, l’azienda finì brevemente sotto l’ombrello di SAIC Motor (che controlla MG) per ottenere la sua licenza, prima di rendersi nuovamente indipendente e riuscire a vendere i primi esemplari della Fengyun nel 2001, quando riuscì a produrre 28.000 auto.
L’azienda continuò ad espandere la sua gamma con modelli a basso costo come la piccola hatch QQ, su cui torneremo. Nel 2007, Chery si era trasformata in un gigante locale, con circa 25.000 dipendenti e vendite totali di oltre 400.000 veicoli, comprese le esportazioni di 110.000 auto verso mercati emergenti come Russia, Medio Oriente e America Latina.
Chery afferma di aver venduto più di 960.000 veicoli nel 2021 (un aumento del 30% anno su anno), inclusi esportazioni di quasi 270.000 auto verso mercati chiave come Brasile, Russia, Arabia Saudita, Qatar e Malaysia.
Il marchio afferma di avere centri di ricerca e sviluppo a livello internazionale, tra cui in Germania, negli Stati Uniti e in Brasile, con una forza lavoro dedicata di 5500 persone interamente impegnate nelle attività di R&S all’interno dell’azienda.
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LE CONTROVERSIE CON GENERAL MOTORS
Chery divenne nota tra fine anni 2000 e primi 2010 per alcune accuse di violazione del copyright e plagio al design. In particolare, grande fu la diatriba tra il costruttore cinese e General Motors per il modello Chery QQ, prodotto dal 2003 al 2015.
Il colosso di Detroit ha infatti intentato una causa in un tribunale cinese in relazione al design di questa auto, sostenendo che il design fosse una copia del suo Daewoo Matiz, e dimostrando che certe parti come le porte erano intercambiabili. Chery e GM hanno successivamente risolto la questione fuori dal tribunale.
Ma la QQ fu oggetto di cause giuridiche anche internamente. La società cinese Tencent, per esempio, contestò la registrazione del marchio QQ da parte di Chery, sostenendo di usarlo per il proprio servizio di messaggistica istantanea online. In questo caso, però, Chery si è difesa con successo e ha potuto continuare a utilizzare il nome QQ.
Ancora, ci fu un caso simile con il suv Chery J11 (la DR 5 in Italia): seppur privo di azioni legali, da molti era considerato un mix tra Toyota RAV4 di seconda generazione al posteriore, e Honda CR-V nella parte anteriore. Infine, la Chery Eastar era la copia estetica di un’altra Daewoo, la Magnus.
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IL CAMBIAMENTO
I tempi del plagio però sono ormai lontani. Come tutti i produttori cinesi, anche Chery negli ultimi due anni ha lavorato molto per l’affinamento e il miglioramento del design, cercando di elevare la qualità quantomeno visiva dei suoi prodotti.
Esempio migliore è la citata famiglia Fengyun o la serie Chery Tiggo, quella da cui derivano i modelli più grandi della gamma DR. Ma più di tutti i modelli dei marchi Omoda e Jaecoo, non a caso quelli pensati per l’Europa.
Seppur nessuno dei due campione di originalità, Omoda si distingue perché moderno e giovanile, con ampia gamma colori. Jaecoo è invece posizionato più in alto, guarda al premium e all’offroad.
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