Forse la tua flotta aziendale è una Grey Fleet, ma tu ancora non lo sai

La "Grey Fleet" è composta da veicoli privati di proprietà dei dipendenti che però vengono usati anche per scopi aziendali, come trasferte e business trip. Un fenomeno sempre più diffuso in Europa, ma che ha delle complicazioni.
In questo articolo
- Ci sono rischi legati alla Grey Fleet?
- L'azienda ha obblighi nei confronti delle "auto grigie"?
- L'infortunio in itinere con l'auto privata, cosa dice la legge
- Quali sono gli obblighi del dipendente
- Posso dare la carta carburante ad un dipendente per la sua auto privata?
- La gestione delle emissioni di una Grey Fleet
- Le differenze tra Grey Fleet e uso promiscuo
Il termine Grey Fleet – che potremmo mutuare dall’inglese con un semplice flotta grigia, o auto grigie – si riferisce all’uso di veicoli privati dei dipendenti per scopi aziendali, un fenomeno sempre più diffuso, specialmente all’estero, in Paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Francia e la Germania. Una scelta – dettata da esigenze aziendali, ma anche da necessità momentanee – che comporta sia vantaggi che sfide, soprattutto in termini di gestione della sicurezza, costi e responsabilità legali.
Proprio per questo bisogna prestare particolare attenzione all’uso delle auto grigie in flotta: uno degli errori più comuni è pensare che il veicolo privato riduca automaticamente i costi e le responsabilità aziendali. Non è vero. Molte delle aziende che scelgono questo tipo di mobilità si trovano a dover affrontare problemi legati alla sicurezza dei conducenti, alla gestione e rendicontazione delle emissioni di CO2, visto che questi veicoli possono essere più vetusti e meno sicuri rispetto a quelli aziendali.
Ci sono rischi legati alla Grey Fleet?
Già nel 2021 (dopo l’emergenza Covid-19) le auto grigie hanno avuto un’impennata in Uk, Francia e Germania e già allora furono condotte indagini puntuali su rischi e benefici di questo tipo di flotte. All’epoca venne evidenziato come molti dei conducenti non eseguissero controlli di manutenzione regolari sui proprio veicoli, rappresentando così un rischio notevole per le aziende in termini di sicurezza (dopo parleremo del nodo responsabilità).
In questi Paesi, in particolare, il 62% dei conducenti di flotte grigie non effettuava regolarmente i controlli di manutenzione e quasi la metà (48%) di quelli che avevano una spia accesa sul cruscotto dichiararono di non avere alcuna intenzione di farla controllare.
Oltre a questo c’è il problema dei costi legati ai rimborsi chilometrici, che con un’auto privata sono più difficili da tracciare. Molti dipendenti infatti, anche perché non abituati a farlo, non redigevano report puntuali.
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L’azienda ha obblighi nei confronti delle “auto grigie”?
In Italia non esiste una normativa specifica e dettagliata che regolamenti esclusivamente la gestione delle Grey Fleet. Tuttavia, ci sono regole che si applicano indirettamente a questa pratica, principalmente nell’ambito della sicurezza sul lavoro e delle responsabilità aziendali.
La Responsabilità del Datore di Lavoro, contenuta nel Decreto Legislativo 81/2008 Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, il datore di lavoro ha il dovere di garantire la sicurezza dei propri dipendenti anche durante gli spostamenti lavorativi. Questo include, ma non si limita, a fornire linee guida adeguate e verificare che i veicoli utilizzati siano sicuri e conformi alla normativa vigente.
Non ci sono obblighi, quindi, ma un’azienda che voglia utilizzare auto grigie dovrebbe prendersi carico di effettuare controlli periodici sullo stato della vettura. Oltre a questo, ovviamente, va considerato il caso di infortunio in itinere.
L’infortunio in itinere con l’auto privata, cosa dice la legge
Si definisce infortunio in itinere quello occorso al lavoratore che, viaggiando su strada per coprire il tragitto casa-lavoro, o tra due luoghi di lavoro (qui potremmo far ricadere le trasferte) o il luogo di lavoro e quello di abituale consumazione dei pasti, se non disponibile una mensa aziendale.
Ricade proprio in questo ambito l’incidente stradale che accade al lavoratore che usa un mezzo privato ed è normato dalla Legge 17 maggio 1999 n. 144, con cui il legislatore ha delegato il Governo (art. 55 lett. u) a dettare una specifica normativa per la tutela dell’infortunio in itinere. Delega che ha trovato attuazione con l’emanazione dell’Art. 12 del D.Lgs. 23 febbraio 2000 n. 38.
Quali sono gli obblighi del dipendente
Come per qualsiasi veicolo, i conducenti devono rispettare le leggi contenute nel Codice della Strada relative alla manutenzione, effettuando regolarmente la revisione, sottoscrivendo l’assicurazione obbligatoria dei veicoli e adempiendo a tutti gli altri obblighi di legge, come il pagamento del bollo: qui trovate riassunto tutto.
Nessun obbligo specifico, quindi, nei confronti dell’azienda, ma quello nei confronti della Legge sì.
Oltre a questo, il dipendente che voglia vedersi correttamente rimborsati i costi del viaggio dovrà rendicontare in modo preciso e puntuale i propri spostamenti, chilometraggi e consumi di carburante, oltre a conservare ricevute e prove di pagamento, anche in presenza di una fuel card.
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Posso dare la carta carburante ad un dipendente per la sua auto privata?
Sì, e anzi dovresti farlo. La carta carburante viene utilizzata dalle aziende per sostenere e gestire le spese per il rifornimento dei dipendenti nell’ambito lavorativo, perché dal 1 gennaio 2019 questo non può essere più pagato in contanti, ma solo con sistemi di pagamento tracciabili (direttiva europea 2014/55/UE).
Inoltre una carta carburante universale, oltre ai rifornimenti, permette di pagare anche altre spese legate trasferte lavorative, dai costi di pernottamento ai pedaggi e i pasti.
Ci sono anche dei vantaggi fiscali, dal momento che permettono di recuperare fino al 40% dell’IVA. (Non è invece possibile dedurre le spese del carburante per il 20% perché questo è possibile solo in caso di veicolo aziendale ad uso promiscuo, oppure fino al 100% per le vetture aziendali ad uso strumentale, entrambe quindi di proprietà della società).
La gestione delle emissioni di una Grey Fleet
Le aziende che scelgono una Grey Fleet possono dover affrontare problematiche relative alle emissioni di CO2 e al rispetto delle normative ambientali, soprattutto se i veicoli dei dipendenti sono più vecchi e non conformi agli standard più recenti. E, dal momento che secondo i dati ACI quello italiano è uno dei più vecchi parchi auto d’Europa, con un’età media di 11 anni e 10 mesi, questo potrebbe essere un grosso ostacolo.
Le differenze tra Grey Fleet e uso promiscuo
Se avete letto fin qui, la differenza tra una Grey Fleet e una flotta ad uso promiscuo vi sarà ben chiara, ed è molto semplice, ma ci sembra doveroso sottolinearlo. Tutto dipende dalla proprietà del mezzo: l’uso promiscuo è intestato all’azienda, la Grey Fleet è, appunto, l’auto privata – e di proprietà del dipendente.
Oltre a questo ovviamente, le auto ad uso promiscuo arrivano più spesso dal noleggio a lungo termine, con un contratto che definisce chiaramente la destinazione del veicolo, che può essere usato anche per scopi personali. Le aziende, in linea con qualsiasi contratto di noleggio, possono anche stabilire restrizioni specifiche riguardo i conducenti e chi può guidare l’auto (ad esempio, solo il dipendente o uno o più familiari stretti, che devono essere comunicati preventivamente), sulla gestione della manutenzione e degli interventi.
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