A 5 anni dal crollo del Ponte Morandi, quanto sono sicure le infrastrutture in Italia?
Più del 50% dei ponti italiani ha un’età superiore al mezzo secolo (fonte CNR), molti sono stati costruiti in assenza di norme specifiche sulla durabilità, qualità dei materiali, manutenzione programmata. La buona notizia è che sono in arrivo poco meno di 2 miliardi di euro per la loro messa in sicurezza.
In questo articolo
Il crollo del Ponte Morandi ha contribuito a sollevare con forza il problema dello stato di salute delle nostre infrastrutture. Sono passati quasi 5 anni, da allora qualcosa si è mosso in termini di attenzione e finanziamenti. Ma la situazione resta drammatica.
I CROLLI RECENTI
Il caso più eclatante è stato il crollo del viadotto Polcevera, conosciuto come Ponte Morandi, il 14 agosto 2018 (43 morti), ma non è certo stato l’unico, sia prima sia dopo.
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Ricordiamo alcuni altri gravi episodi accaduti negli ultimi dieci anni:
- 28 ottobre 2017 – crollo del cavalcavia di Annone (1 morto e 5 feriti),
- 9 marzo 2017 – Autostrada A14, cavalcavia 167 (2 morti e 3 feriti),
- 2 marzo 2015 – Autostrada A3, viadotto Italia, costruito senza fissaggi sugli appoggi (1 morto),
- 22 ottobre 2013 – crolla un ponte a Carasco, paese nell’entroterra ligure (2 morti),
- 18 novembre 2013 – provinciale Oliena – Dorgali, durante l’alluvione in Sardegna cede un ponte (1 morto)
Oltre a questi episodi, altri eventi di crollo recenti – sebbene con conseguenze per fortuna meno gravi – mostrano come questi problemi si manifestino con preoccupante frequenza.
INFRASTRUTTURE DATATE
A causa dell’orografia italiana piuttosto irregolare, il patrimonio di ponti e viadotti stradali è piuttosto rilevante. La loro realizzazione, spesso durante gli anni del boom economico, è avvenuta in assenza di norme specifiche sulla durabilità, qualità dei materiali, manutenzione programmata.
Il nostro sistema di infrastrutture stradali ha bisogno di attenzione e azioni di manutenzione efficaci e mirate, perché la maggior parte dei ponti e viadotti italiani è stato costruito tra il 1955 e il 1980. Lo dice il rapporto dell’istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr, che risale al giugno del 2018 (mancava poco più di un mese al crollo del Ponte Morandi). Rimediare “a posteriori” è oggettivamente complesso, oltre che molto costoso.
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DURABILITÀ E CICLO DI VITA
Spiega Fabio Biondini, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano: “Il problema della durabilità delle strutture e dei ponti in particolare, è emerso nella sua effettiva importanza solo negli ultimi decenni e ha richiesto anni di studi e ricerche per una migliore comprensione del ruolo dei fenomeni di fatica e degrado dei materiali.
Gli effetti di questi fenomeni risultano esacerbati anche dalla continua crescita dei volumi di traffico. Oggi i criteri di progettazione, manutenzione e gestione dei ponti si stanno modificando profondamente attraverso un approccio a ciclo di vita, nel quale si valutano le prestazioni strutturali nel tempo durante le fasi di esercizio dell’opera fino alla sua dismissione, in modo da garantire un adeguato livello di sicurezza durante l’intera vita di servizio attesa”.
Secondo i dati di uno studio condotto da Carlo Castiglioni e Alessandro Menghini del Politecnico di Milano presentato nel 2021, ci sono almeno 1.900 ponti in Italia, sui 61mila osservati, che presentano “altissimi rischi strutturali”. Inoltre più di 18mila viadotti presentano alcune criticità e necessitano interventi di manutenzione. Più del 50% dei ponti ha un’età superiore ai 50 anni contro una media nei Paesi del G7 che si attesta fra i 20 e i 30 anni.
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NON SAPPIAMO QUANTI PONTI ABBIAMO
Il primo step, ancora prima della messa in sicurezza, è quello di sapere quali e quante sono le “opere d’arte”, come vengono chiamati manufatti quali ponti, viadotti e cavalcavia.
Per fare un esempio internazionale, negli Usa c’è un database ampio e dettagliato, il National Bridge Inventory: “Un contesto di riferimento è certamente quello degli Stati Uniti, dove la situazione non è molto diversa dalla nostra: degli oltre 600,000 ponti sul territorio americano, quasi la metà ha raggiunto o sta per raggiungere 50 anni di vita e quasi il 10% versa in uno stato di grave ammaloramento. La consapevolezza di questi problemi è arrivata però prima di altri paesi e oggi gli Stati Uniti hanno un livello di conoscenza del loro patrimonio infrastrutturale molto elevato.”, ricorda il professor Biondini.
Sapere quanti e quali sono i ponti sul territorio nazionale non è niente affatto scontato. A dispetto dell’obbligo di dotarsi di un catasto stradale molto spesso gli enti non possiedono un database completo delle opere d’arte per le quali risultano responsabili.
Non si tratta di obblighi recenti: da più di 50 anni in Italia si cerca di normare la vigilanza sulle opere d’arte stradali. Anche nel 1967 servì una tragedia per aggiornare il quadro normativo.
LA CIRCOLARE DEL 1967
Il 18 gennaio del ’67 crollarono le campate centrali del ponte di Ariccia, una costruzione dell’800 sulla via Appia ricostruita in maniera approssimativa dopo la seconda guerra mondiale (già due anni prima del crollo si erano individuate crepe nel ponte, come scrissero i giornali dell’epoca).
Successivamente venne emanata la Circolare LL. PP. n° 6736/61/AI del 19.07.1967 che stabilisce l’importanza della vigilanza assidua del patrimonio delle opere d’arte stradali e delle operazioni di manutenzione e ripristino. Tutto ciò si doveva realizzare attraverso l’esecuzione di una ispezione trimestrale, eseguita da tecnici, e da un’ispezione annuale eseguita da ingegneri il tutto corredato da rapporti d’ispezione.
E ADESSO?
Con il decreto del 1° luglio 2022 il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili ha diffuso le Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza ed il monitoraggio dei ponti esistenti.
Di cosa si tratta? Le Linee guida:
- definiscono una procedura multilivello e multi-obiettivo per la gestione del rischio dei ponti esistenti
- indicano i requisiti relativi al sistema di monitoraggio dinamico delle opere
- vogliono assicurare l’omogeneità della classificazione e gestione del rischio, della valutazione della sicurezza e del monitoraggio dei ponti, viadotti, rilevati, cavalcavia e opere similari, che siano gestiti da Anas o da concessionari autostradali o da altri enti
Spiega Biondini: “Ora ci troviamo in una fase di sperimentazione nella quale sono state messe in campo competenze universitarie a livello nazionale, con il coordinamento del Consorzio ReLUIS, per validare e uniformare la procedura di valutazione della sicurezza, sorveglianza e monitoraggio proposta nelle linee guida”.
Si tratta di una procedura su 6 livelli, con grado di approfondimento e complessità crescenti. In sintesi:
- Livello 0: censimento delle opere
- Livello 1: ispezioni visive e rilievo delle strutture
- Livello 2: fattori di rischio e valutazione delle classi di attenzione
- Livello 3: valutazioni per eventuali approfondimenti di livello superiore
- Livello 4: valutazione accurata della sicurezza strutturale di singole opere
- Livello 5: analisi di resilienza della rete stradale
“A questa attività si affiancano molteplici iniziative per ampliare le nostre conoscenze e acquisire dati sulle prestazioni residue di ponti esistenti. Un esempio è il progetto BRIDGE|50, che vede la collaborazione dei Politecnici di Milano e Torino, insieme a enti pubblici e società private, per l’attuazione di una ampia campagna di studi e prove sperimentali sugli elementi strutturali di un viadotto in calcestruzzo armato precompresso recentemente dismesso a Torino dopo 50 anni di vita”.
L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE DI CHI CONTROLLA
Gli enti gestori, soprattutto a livello locale, non sempre hanno a disposizione le risorse umane ed economiche necessarie e il personale che verifica le infrastrutture opera spesso senza una formazione specialistica e sulla base di sole ispezioni visive.
Il decreto stanzia 4,5 milioni di euro alla attività di sperimentazione di 48 mesi e alla formazione degli operatori incaricati di esaminare le infrastrutture stradali degli enti diversi da Anas S.p.a. e dai concessionari autostradali (solo alla formazione sarà destinata una percentuale fino ad un limite massimo del 30% delle risorse).
L’IMPORTANZA DI STABILIRE LE PRIORITÀ
Molto importante è anche capire dove intervenire per prima. “Tenuto conto dell’ampio patrimonio di ponti e viadotti che necessita di manutenzione e interventi significativi, è fondamentale definire le priorità di intervento per una gestione ottimale delle risorse umane ed economiche disponibili.”, spiega il professor Biondini. Priorità che non dipendono solo dalla gravità delle condizioni del ponte ma della sua importanza per la viabilità.
Molto importante tenere conto dei costi indiretti, che spesso sono maggiori dei costi stessi di realizzazione dell’opera. “Le priorità di intervento devono considerare i principali fattori di rischio e il depotenziamento funzionale o interruzione della rete per manutenzione o inagibilità delle singole opere. Il crollo del viadotto Polcevera, vitale per la viabilità dell’aera genovese, ne è un esempio paradigmatico: l’impatto sulla filiera produttiva regionale e nazionale ha comportato costi indiretti superiori al doppio dei costi di realizzazione del nuovo ponte San Giorgio.”, ricorda Fabio Biondini.
IN PROGRAMMA INTERVENTI DA 1,4 MILIARDI
Con il Decreto 5 maggio 2022 (in GU n.164 del 15-7-2022) il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili ha ripartito il Fondo per la messa in sicurezza dei ponti e viadotti esistenti e la realizzazione di nuovi ponti. Si tratta di un programma di 6 anni dal 2024 al 2029.
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Sono previsti 100 milioni per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e 300 milioni per ciascuno degli anni dal 2026 al 2029.
Le risorse sono ripartite tra le province e le città metropolitane sulla base di questi parametri:
- consistenza della rete viaria
- consistenza del parco circolante
- vulnerabilità ai fenomeni naturali
Le risorse vanno impiegate esclusivamente per la messa in sicurezza dei ponti e viadotti esistenti e per la realizzazione di nuovi ponti in sostituzione di quelli esistenti con problemi strutturali di sicurezza.
Tanti soldi, ma sono abbastanza? Secondo Antonio Occhiuzzi, Direttore dell’Istituto di Tecnologia delle Costruzioni del CNR:
“Il problema ha dimensioni grandissime: il costo di un ponte è pari a circa 2.000 euro/mq; pertanto, ipotizzando una dimensione “media” di 800 mq e un numero di ponti pari a 10.000, le cifre necessarie per l’ammodernamento dei ponti stradali in Italia sarebbero espresse in decine di miliardi di euro”.
INTANTO
Il Ministero delle infrastrutture ha stanziato 450 milioni di euro del Piano Complementare al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) destinato al monitoraggio dinamico e il controllo da remoto di ponti, viadotti e tunnel delle strade statali e delle autostrade.
I destinatari sono Anas e concessionari autostradali, i fondi verranno distribuiti dal 2021 al 2026, ma solo dopo l’approvazione del piano degli interventi.
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Entro il 31 maggio 2022, l’Anas e i gestori autostradali dovranno trasmettere agli uffici competenti del Mims e all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali (Ansfisa) l’elenco delle opere soggette al monitoraggio dinamico e il piano delle attività per l’attuazione del sistema dinamico di controllo, dal censimento delle strutture all’installazione della strumentazione, alla raccolta e elaborazione dei dati.
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