Se le auto elettriche si moltiplicano, le infrastrutture arrancano
Continuiamo a vedere auto elettriche lanciate sul mercato, nonostante le difficoltà legate alla crisi dei semiconduttori. Molto meno capillare è però la diffusione di infrastrutture di ricarica in Italia, e delle poche che ci sono solo il 5% è in corrente continua. E, forse non a sorpresa, chi si impegna meno nella realizzazione di stazioni di ricarica sono proprio le istituzioni.
In questo articolo
- AUTO ELETTRICHE E INFRASTRUTTURE DI RICARICA: LA SITUAZIONE
- (QUASI) SOLO SUV E AUTO DI GRANDI DIMENSIONI
- COLONNINE IN CRESCITA, MA POCHE FAST CHARGE
- LE DIFFICOLTÀ DI ASPI
- INFRASTRUTTURE PER LE AUTO ELETTRICHE: LA CORSA DEI PRIVATI
- GLI AMBIZIOSI OBIETTIVI DI IONITY
- VOLVO RECHARGE HIGHWAYS
- LE INFRASTRUTTURE DI RICARICA E I CONSUMATORI
- QUALCUNO CI PROVA
- IL CANE CHE SI MORDE LA CODA
Sappiamo ormai che la direzione dell’automotive è quella dell’elettrico, sia a batteria che a idrogeno. E lo dimostra il numero di vetture elettriche che continuano ad essere lanciate sul mercato: noi stessi, nel 2021, abbiamo forse provato più modelli a batteria che modelli a puro motore endotermico.
Ma se i BEV continuano ad aumentare, in Europa e in Italia lo stesso non si può dire delle infrastrutture, che rimangono la nota dolente e vero e proprio freno alla diffusione di queste vetture. Una cosa che rappresenta un vero paradosso: come fare un passaggio definitivo all’elettrico, se la situazione infrastrutture è così lenta?
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AUTO ELETTRICHE E INFRASTRUTTURE DI RICARICA: LA SITUAZIONE
Parliamoci chiaro: i numeri delle auto elettriche in Italia sono ancora piuttosto bassi, anche se la crescita del 2021 rispetto al 2020 è stata esponenziale. A Ottobre 2021, come conferma Motus-E, in Italia sono state immatricolate 7.108 nuove full Electric, oltre il 145% in più rispetto a Ottobre 2020. In totale, le BEV oggi sono 54.160, mentre le ibride plug-in 58.193, con un distacco sempre più piccolo che si prevede sarà superato.
Già entro la fine dell’anno, ormai alle porte, la previsione è che le BEV arrivino a 65.000 unità.
Merito degli incentivi, i quali finché sono durati hanno permesso una larga diffusione di queste vetture, e che al contempo si dimostrano fondamentali, visto che da quando sono finiti il trend di crescita è rallentato. E questo a maggior ragione se la maggior parte dei modelli elettrici presentati sono veicoli di grandi dimensioni, e con fasce di prezzo non molto popolari.
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(QUASI) SOLO SUV E AUTO DI GRANDI DIMENSIONI
Di tutti gli innumerevoli modelli elettrici lanciati nel 2021, si può dire che solo due sono di piccole dimensioni, e hanno prezzi più accessibili: la Fiat 500e (che però ufficialmente ha debuttato nel 2020), e la Dacia Spring, che in pochi mesi è già una delle elettriche più vendute in Italia e in Europa.
Queste si vanno ad unire ad un mercato di cittadine abbastanza stretto, e spesso con modelli ormai datati. Salvo eccezioni, quindi, i carmaker per ora preferiscono concentrarsi su modelli di grandi dimensioni, generalmente SUV e Crossover per andare incontro ai gusti odierni, sia perché sono più sostenibili economicamente (le auto piccole, di qualsiasi propulsione, sono meno redditizie), sia per motivi strutturali, ovvero permettono di contenere batterie più grandi e quindi garantire più autonomia.
Un altro dato poco conforme al mercato italiano, che da sempre è più avvezzo alle auto dei segmenti più bassi, e le elettriche non sono da meno. Dei 5 BEV più venduti in Italia, solo la Tesla Model 3 è una berlina di segmento D con dimensioni importanti, e si trova comunque in quarta posizione. I primi tre posti sono occupati rispettivamente da:
- Fiat 500e (8.893 unità immatricolate);
- Smart EQ ForTwo (5.180 unità immatricolate);
- Renault Twingo Electric (4.645 unità immatricolate).
Al quinto posto, un’altra ultra-compatta: la Dacia Spring, disponibile alla vendita da settembre 2021 e che a Ottobre già dichiarava 4.274 unità vendute.
Tornando ai produttori, comunque, al momento preferiscono concentrarsi su auto che garantiscano in media tra i 400 e i 500 km di autonomia dichiarata, i cui accumulatori superano i 70 kWh e che quindi per essere ricaricati necessitano di colonnine molto potenti. Ovvero, proprio quelle di cui c’è carenza nel Bel Paese.
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COLONNINE IN CRESCITA, MA POCHE FAST CHARGE
A Settembre 2021, sempre tenendo conto dei dati forniti da Motus-E, l’Italia aveva in totale 24.794 punti di ricarica, divisi in 12.623 stazioni. Un numero notevolmente cresciuto rispetto al 2020, e che posiziona il Bel Paese al quinto posto in Europa per numero di infrastrutture. Per fare un confronto, a Settembre 2019, solo due anni fa, i PDR italiani erano 10.647.
Al pari delle auto elettriche, quindi, il trend è in crescita, ma non allo stesso passo. I problemi a riguardo sono sostanzialmente due:
- La distribuzione disomogenea delle infrastrutture, ancora molto legata all’ambiente urbano e al Nord Italia;
- La prevalenza anche in tempi recenti di colonnine “Quick”, in Corrente Alternata e con potenza massima di 22 kW (se vuoi sapere la differenza tra Corrente Alternata e Continua, clicca qui)
Nel primo caso, c’è poco da spiegare: nonostante i notevoli passi in avanti, le colonnine restano ancora molto concentrate negli ambienti urbani, e prevalentemente in quelli del Centro-Nord. Questa è anche la causa del secondo punto, non di poca importanza se consideriamo che su 100 colonnine installate, ben 95 sono in AC e appena 5 in DC con potenza superiore ai 45 kW.
Anche qui i motivi principali sono legati ai costi e alla logistica. Infatti, dato che si tratta di colonnine urbane, per i comuni il costo delle colonnine rapide è spesso insostenibile. E, in generale, le colonnine Quick sono più piccole, più veloci e più semplici da integrare all’ambiente urbano, rispetto a quelle più potenti.
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LE DIFFICOLTÀ DI ASPI
Ultimo, ma non per importanza, il problema della quasi assenza di infrastrutture di ricarica in Autostrada, che si è cominciato a risolvere letteralmente nell’ultimo anno. ASPI, che fino all’anno scorso ha sempre mostrato perplessità sulla mobilità elettrica, nel 2021 ha presentato un gigantesco piano, volto ad avere entro il 2023 colonnine ogni 50 km, e l’obiettivo di installarne 40 o 50 all’anno.
I numeri, però, dicono il contrario: a marzo 2022, le stazioni di servizio Free To X, quindi quelle proprie di ASPI, sono 6, e sono quelle delle stazioni di servizio di:
- Flaminia Est, Roma (A1 Milano-Napoli, km 509.1 in direzione Firenze tra Ponzano Romano e Magliano Sabina);
- Secchia Ovest, Modena (A1 Milano-Napoli, km 156.5 in direzione Bologna tra Allacciamento A1/A22 e Modena Nord);
- Secchia Est, Modena (A1 Milano-Napoli, km 602 direzione Milano tra Modena Nord e allacciamento A1/A22);
- S. Zenone Ovest, Lodi (A1 Milano-Napoli, km 15.1 in direzione Bologna tra Melegnano e Lodi);
- Conero Ovest, Ancona (A14 Bologna-Taranto, km 239 direzione Pescara tra Ancona Sud e Porto Recanati);
- Giove Ovest, Terni (A1 Milano-Napoli Km 482 direzione Roma tra Attagliano e Orte);
Nonostante i numerosi fornitori, da Enel X ad A2A, disposti a sostenere l’ammodernamento delle infrastrutture, ASPI ha rallentato il suo obiettivo non appena cominciato. I motivi, ancora una volta, sono da ricondurre ai costi, che per quanto riguarda l’autostrada si alzano notevolmente vista la lontananza delle colonnine dalle strutture ove poter fare l’allacciamento.
Ciononostante, il piano da 75 milioni di euro completamente autofinanziato è ormai avviato, e sembra che la strada del 2022 aumenti e non di poco la velocità. Sono infatti in fase avanzata altri 8 cantieri che vedranno l’attivazione di stazioni di ricarica nelle aree di servizio di:
- Teano Ovest (A1 – Roma-Napoli);
- San Nicola Est (A1 – Napoli-Roma);
- La Pioppa Est e Ovest (A14 – Bologna-Rimini);
- Arda Ovest (A1 – Milano-Bologna);
- Brianza Nord (A4 – Milano-Brescia);
- Monferrato Est e Ovest (A26 – Genova-Gravellona);
E altri sulla dorsale adriatica nelle autostrade A14 e A16. Fino al completamento del piano, Aspi ha intenzione di avviare in media 4 o 5 stazioni ogni mese, per un 2022 che si prospetta ben più favorevole alla mobilità elettrica autostradale rispetto alla prima stesura di questo articolo, a novembre 2021. E speriamo davvero che sia così.
Ci sono poi gli operatori privati: alle colonnine Free To X sopracitate, bisogna aggiungere quelle che Ionity è riuscita a installare nelle aree di servizio autostradali. Sono in totale 5 le Ionity che si possono sfruttare senza uscire dal casello, delle quali una in Valle D’Aosta, tre in Liguria e una in Toscana.
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INFRASTRUTTURE PER LE AUTO ELETTRICHE: LA CORSA DEI PRIVATI
In un contesto in cui la transizione energetica, un cambio così radicale, non viene dal basso, ma dalle istituzioni, viene spontaneo aspettarsi che siano quelle stesse istituzioni a provvedere a un’infrastutturazione adeguata che, oltre agli incentivi, spinga i consumatori a scegliere le nuove motorizzazioni. La realtà è ben diversa, e vede una vera e propria corsa degli operatori privati, spesso gli stessi car maker, a rimediare ai ritardi e alle mancanze istituzionali.
C’è chi lo ha fatto fin da subito, e parliamo naturalmente di Tesla con i suoi Supercharger, che nonostante l’intenzione di aprirli anche ai non-Tesla, rimangono ad oggi tra i motivi principali di chi preferisce una vettura di Elon Musk alle altre. Anche in questo, insomma, l’azienda californiana ha fatto da apripista, con gli altri carmaker che hanno capito che “chi fa da sé, fa per tre“. Ovvero, visti gli obiettivi imposti un po’ da loro stessi, un po’ da Bruxelles, è meglio attivarsi da soli per creare le colonnine.
Non mancano, comunque, privati che nascono solo con quello scopo. Enel X è ancora oggi il principale fornitore di colonnine in Italia, con un’ampia offerta che va dalle 22 kW alle Fast Charge, fino alla rete (per ora piuttosto ridotta) delle Hyper-Charge con potenza superiore a 200 kW.
La diffusione si sta facendo abbastanza capillare, anche grazie agli accordi che la società romana ha con diversi colossi, quali IKEA che nei suoi negozi ha colonnine sia Quick che Fast, le catene di supermercato Unes/Il Viaggiator Goloso, o ancora McDonald’s; e, più interessante, con i distributori Q8, che abbastanza velocemente stanno aggiungendo numerosi punti di ricarica rapida alle loro stazioni di servizio.
Altettanto sarà per Be Charge, il secondo fornitore italiano che ad oggi conta oltre 5.000 punti in tutto il territorio. Be Charge si è sempre distinto per portare la ricarica, sia lenta che rapida, in zone anche lontane dai centri urbani: per fare un esempio, avevamo trovato una colonnina da 100 kW sull’Appennino emiliano durante la seconda tappa della maratona e-Raid.
Recentemente acquisita dal colosso italiano Eni, Be Charge sta comparendo anche all’interno delle stazioni di servizio dell’azienda di San Donato Milanese, anche in questo caso puntando a velocizzare i processi di infrastrutturazione tramite lo sfruttamento delle stazioni più diffuse nel Bel Paese.
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GLI AMBIZIOSI OBIETTIVI DI IONITY
Nel frattempo, alcuni car maker, nel 2017, si sono uniti per creare Ionity, una joint-venture paneuropea attualmente partecipata dai gruppi BMW, Daimler-Mercedes, Ford Europe, Hyundai-Kia e Volkswagen.
Sono attualmente le colonnine più potenti disponibili in tutto il territorio europeo, tra le più affidabili (provare per credere) e quale che sfruttano solo energia da fonti rinnovabili. Ricaricano fino a 350 kW di potenza massima, e quando non sono in autostrada sono dotate esclusivamente di cavo integrato con presa CCS Combo, lo standard più diffuso per la ricarica rapida.
Attualmente, Ionity in Europa ha raggiunto il target di 400 stazioni di ricarica totali, di cui 22 in Italia. Nel Bel Paese, 19 siti Ionity sono effettivamente aperti al pubblico e funzionanti, mentre gli ultimi tre sono ancora in costruzione. Come loro stessi ci hanno confermato, la realizzazione di stazioni di ricarica in Italia non è semplice, non tanto per ottenere i permessi che sono rilasciati quasi nell’immediato, ma proprio per il lungo tempo che il grid operator impiega per connettere le colonnine alla rete.
Per esempio, ad Aprile 2021 Ionity ha terminato la costruzione di due stazioni di ricarica in Toscana, che a Novembre 2021 non erano ancora funzionanti perché non collegate, senza che la stessa Ionity abbia bene chiaro quanto tempo serve per farle partire. Il risultato è un investimento ormai fatto, che però non può essere aperto ai clienti e, quindi, sfruttato.
I vincoli più alti riguardano proprio le stazioni di ricarica in Autostrada, che noi abbiamo provato con mano durante il test drive della nuova BMW iX. Per obblighi legislativi, infatti, in Autostrada bisogna garantire la neutralità tecnologica, per permettere anche a chi non ha un’auto con presa CCS di poter caricare.
Ecco perché le stazioni Ionity all’interno delle stazioni di servizio comprendono sempre quattro colonnine da 340 kW con presa CCS più un multi-charger, composto di CCS, Type-3 per la ricarica in AC (forse utile solo alle PHEV) e anche cavo con presa CHAdeMO. Per chi non la conoscesse, la presa CHAdeMO è il vecchio standard per la ricarica rapida, attualmente usato solo da Nissan Leaf.
Se il target del 2021 è stato raggiunto, per il 2025 la joint ha piani ancora più ambiziosi: recentemente, grazie alla partnership con Black Rock Renewable Power Platform, Ionity ha stanziato un investimento di 700 milioni di euro entro il 2025, volto ad incrementare le stazioni dalle attuali 400 a oltre 1.000, per un totale di 7.000 punti di ricarica totali contro i 1.500 attualmente disponibili.
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VOLVO RECHARGE HIGHWAYS
Un progetto tutto italiano è quello di Volvo Recharge Highways, lanciato da Volvo Car Italia e recentemente inaugurato a Milano. Ne avevamo però parlato a inizio 2021, in occasione del lancio della Volvo C40, e in effetti l’azienda scandinava si è dimostrata abbastanza in linea con i suoi obiettivi. Si tratta di colonnine a ricarica ultra-rapida installate nei concessionari Volvo che hanno aderito all’iniziativa, e che si trovano nei pressi dei caselli autostradali.
Le colonnine Volvo (che sono però aperte a tutti) sono oggi 24, per cui ne mancano 6 delle 30 totali previste dal piano. Oltre a quella di Milano, fondamentalmente l’unica in un centro cittadino, sono attive quelle di Varese, Ferrara, Padova, Verona, Ravenna, che vedono ancora una volta il Centro-Nord più avanti rispetto al resto d’Italia.
Le difficoltà che mi sono state raccontate dalla stessa Volvo non mi stupiscono. La prima è ovviamente quella burocratica, non tanto per l’occupazione del suolo (non serve, visto che nascono nelle concessionarie), quanto per gli allacciamenti, che come abbiamo visto sono fondamentalmente la fonte di ritardo principale.
Un altro motivo di rallentamento è relativo alle aree con difficoltà di potenza a bassa tensione, che è quella necessaria per quel tipo di colonnine. Ci sono distributori di energia locale che proprio non ne dispongono, e questo fa sì che sia il concessionario Volvo a dover provvedere in toto alla realizzazione della colonnina, in un contesto che comunque di elettriche ne vede ancora poche. Anche per questo la situazione è abbastanza complessa, visto poi l’enorme investimento che i Dealer del marchio svedese si assumono, dimostrando sia di credere al progetto, sia in generale di credere in Volvo.
Così facendo, insomma, Volvo vuole mantenere lo stesso livello di comfort in viaggio che oggi riesce ad assicurare con le sue auto ibride plug-in, il cui successo è innegabile: basti pensare che oltre la metà delle XC40 vendute è PHEV, che secondo l’azienda può fare da ponte verso la definitiva elettrificazione dei suoi clienti. Comfort che, oltre al progetto Recharge Highways, ci assicura aumenterà grazie alle elettriche in arrivo con 950 km di autonomia (ma ci hanno detto niente di più).
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LE INFRASTRUTTURE DI RICARICA E I CONSUMATORI
Se gli operatori privati e, come visto, le stesse case automobilistiche stanno cercando di mettere una pezza alle mancanze istituzionali, lato consumatore la situazione è meno rosea. Anche le aziende per la gran parte preferiscono scegliere soluzioni ibride plug-in, magari in abbinamento al diesel, anziché l’elettrico. Frena, come prevedibile, la quasi mancanza di colonnine veloci in autostrada, tanto che sono in molti a dire che se fossero più capillari, la situazione sarebbe diversa.
Alla scarsa diffusione si aggiungono altri due fattori. Il primo è l’imprevisto di trovare la colonnina guasta (ma segnalata funzionante sull’app, forse perché nessuno ci era ancora capitato) oppure occupata, nei casi più gravi da utenti con EV che non stanno caricando, o direttamente da individui con un’auto a motore termico. Per quanto siano sanzionabili, le tempistiche di rimozione forzata sono piuttosto lunghe, e chi è in giro per lavoro e, quindi, ha tempi stretti, non se le può permettere.
L’altro fattore, da non sottovalutare, è che tutti questi player volti alla realizzazione di colonnine, molto spesso non comunicano tra loro, con il risultato che esiste un vero e proprio caos per cui ogni volta bisogna scaricare un’app diversa, registrarsi, inserire il metodo di pagamento. Anche perché, città che vai, operatore locale che trovi (oltre a quelli nazionali), e nuova app che devi scaricare.
A questo problema ci pensano ancora una volta i car maker. Tutti, da Hyundai a Fiat, da Audi a Ford, al momento dell’acquisto o del noleggio di un’auto elettrica includono anche un servizio specifico, un’unica app e/o card che permette con un unico account di caricare nella quasi totalità di colonnine in Italia e in Europa. Non sembra, ma in un settore che accetta solo pagamenti digitali, è un vero e proprio aiuto. Anche fornitori come evWay permettono di attivare le colonnine degli altri operatori, e rilasciano una card apposita.
Anche se, va detto, non tutti i fornitori aderiscono, e alla fine è sempre meglio avere anche l’app ufficiale.
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QUALCUNO CI PROVA
Tra le aziende che abbiamo sentito, c’è anche chi crede nell’elettrico, e si muove attivamente per renderlo possibile. Emblematico è il caso di Roche, che entro la fine di Gennaio 2022 avrà nella sua sede 120 punti di ricarica, i quali potranno essere sfruttati dai dipendenti con auto BEV e PHEV sia aziendali che proprie che si recano alla sede.
Non solo, l’azienda incentiva i dipendenti che percorrono pochi km l’anno (fino a 25.000) a scegliere un veicolo elettrico, dando come alternativa un diesel non premium; e installando, quando possibile, delle Wallbox domestiche che integrano un software in grado di rilevare il consumo di elettricità della ricarica, che il dipendente può farsi rimborsare. Per agevolarli, inoltre, grazie all’accordo con eWay i dipendenti godono di una “Key Fob”, una card specifica che permette di attivare quasi tutte le colonnine presenti in Europa, e se le auto sono aziendali la fattura arriva direttamente all’azienda.
Le difficoltà, comunque, rimangono anche quando l’azienda ti porta a casa e in ufficio l’infrastruttura di ricarica: le auto aziendali, come noto, sono anche dei benefit, che le persone usano nel loro privato. È capitato che i dipendenti non trovassero colonnine nel luogo scelto per passare il weekend, e in questi casi si cerca di andare incontro dando una vettura endotermica ferma.
Altri casi, come Engie, hanno creato da soli un vero e proprio sistema di ricarica nella propria sede, con un software in grado di suddividere la potenza in base a quanti veicoli sono collegate, e con tariffe ovviamente agevolate. Al momento, ENG riesce ad “accontentare tutti”, come si dice, anche grazie allo smart working, che evita un sovraffollamento alle colonnine aziendali. Ancora una volta, però, i problemi sorgono al di fuori della vita lavorativa, quando per svago i dipendenti provano a raggiungere località, anche rinomate, quasi o totalmente prive di colonnine.
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IL CANE CHE SI MORDE LA CODA
I privati e le aziende aspettano a passare all’elettrico, non perché manca l’offerta di modelli, ma perché mancano le infrastrutture. Al contempo, gli stessi car maker, oltre agli enormi costi per produrre le stesse vetture, si assumono anche quelli delle infrastrutture.
E, forse, è questo il vero problema: ovvero quando quelle istituzioni che più di tutti spingono al cambiamento del mercato, sottovalutano in maniera superficiale il problema dei punti di ricarica, lasciando ad altri un onere che eticamente spetterebbe a loro.
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